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Phrynichos
487) ovvero “essere grasso” (cfr. Plut. Regum et imperatorum apophthegmata
206f); e una transitiva, “ungere” (cfr. LSJ, s. v. [II], p. 1053: «anoint»; così in Nic.
Eh. 81). Sul significato del vocabolo in Frinico veniamo informati - come già
notava Meineke (FCG ILI, p. 595) - dalla glossa conservata dalla Συναγωγή (λ
114 - Phot, λ 343 = Suid. λ 592), in cui il lemma λιπώσι è chiosato come sino-
nimo di λιπαρώσι(ν): una forma mai attestata in letteratura e in cui Meineke
riconosceva - probabilmente non a torto - un errore «prò λιπαροΐς». In com-
media l’aggettivo λιπαρός ricorre spesso in contesti gastronomici riferito ad
alimenti «enrobés d’huile ou qui ont cuit dans l’huile» (Taillardat 1965, p. 330
n. 2; cfr. inoltre Pellegrino 2000, p. 148 [ad Ar. fr. 520.3]), ossia a cibi “grassi”,
“unti” e “luccicanti (in quanto coperti d’olio)”; e, a ben vedere, anche il passo in
questione sembra rientrare nella casistica appena descritta, visto che la forma
participiale λιπώσι serve a qualificare il dativo στεμφύλοις, termine mediante
cui, nel verso, si indica una particolare pietanza a base di “sansa” (vd. infra).
στεμφύλοις II neutro plurale στέμφυλα (la forma singolare conta in tutta
la letteratura conservata poche occorrenze, la più antica delle quali è in Ar. Eq.
80 6269) può indicare la “sansa” (il prodotto residuato dall’ultima spremitura
delle olive, costituito per lo più da bucce, rimasugli di polpa e frammenti di
nocciolo) ovvero la “vinaccia” (l’insieme di bucce, vinaccioli e graspi dell’uva
spremuta che residuano dalla vinificazione). Dal grammatico Frinico (EcZ. 385;
cfr. inoltre Athen. Epit. II. p. 56d [~ Eust. in Od. p. 1963.59-60]; Phot, β 297; e
vd. lo schol. [VEPr30MLh; Aid.] Ar. Eq. 806b Jones-Wilson) veniamo informati
che la prima accezione era nota soprattutto agli Attici, che, con il termine,
erano soliti indicare una varietà di torta salata (una sorta di quiche; Poli. I.
248 annovera tale pietanza in un elenco di pani e focacce), a base appunto di
sansa e considerata un “cibo per contadini” (cfr. Ar. Eq. 806, Nu. 45; vd. Garcia
Soler 2001, s. v. Aceituna (elaia), p. 66 con n. 101).
διπυρίτας Oltre a Frinico, il sostantivo vanta due ulteriori occorrenze
in letteratura: Hp. Int. 25.20 (= VII, p. 232.1 Littré: vd. infra); Constantinus
Manasses, Carmen Morale, v. 902 Miller. Altrimenti chiamato δίπυρος άρ-
τος (dalla Suda [δ 1265] veniamo informati che il δίπυρος άρτος era noto,
παρά 'Ρωμαίοις - «ubi per Romanos intellegit Graecos Constantinopolim
inhabitantes»: J. Kuhn, ap. Lederlin/Hemsterhuys 1706, p. 701 n. 92 -, con
il nome di παξαμάς [per cui cfr. inoltre Suid. π 254]), questo tipo di pane era
269 II sostantivo viene etimologicamente connesso con il verbo στέμβω: cfr. Frisk GEW
II, s.v., p. 788; Chantraine DELG, s.v., p. 1051; Beekes EDG, s. v., p. 1398; il verbo
στέμβω è chiosato con συνεχώς κινεΐν (“muovere continuativamente”, “scuotere”)
da Philox. fr. 450 Theodoridis e con ύβρίζειν (“maltrattare”) da Eust. in II. p. 235.8.
Phrynichos
487) ovvero “essere grasso” (cfr. Plut. Regum et imperatorum apophthegmata
206f); e una transitiva, “ungere” (cfr. LSJ, s. v. [II], p. 1053: «anoint»; così in Nic.
Eh. 81). Sul significato del vocabolo in Frinico veniamo informati - come già
notava Meineke (FCG ILI, p. 595) - dalla glossa conservata dalla Συναγωγή (λ
114 - Phot, λ 343 = Suid. λ 592), in cui il lemma λιπώσι è chiosato come sino-
nimo di λιπαρώσι(ν): una forma mai attestata in letteratura e in cui Meineke
riconosceva - probabilmente non a torto - un errore «prò λιπαροΐς». In com-
media l’aggettivo λιπαρός ricorre spesso in contesti gastronomici riferito ad
alimenti «enrobés d’huile ou qui ont cuit dans l’huile» (Taillardat 1965, p. 330
n. 2; cfr. inoltre Pellegrino 2000, p. 148 [ad Ar. fr. 520.3]), ossia a cibi “grassi”,
“unti” e “luccicanti (in quanto coperti d’olio)”; e, a ben vedere, anche il passo in
questione sembra rientrare nella casistica appena descritta, visto che la forma
participiale λιπώσι serve a qualificare il dativo στεμφύλοις, termine mediante
cui, nel verso, si indica una particolare pietanza a base di “sansa” (vd. infra).
στεμφύλοις II neutro plurale στέμφυλα (la forma singolare conta in tutta
la letteratura conservata poche occorrenze, la più antica delle quali è in Ar. Eq.
80 6269) può indicare la “sansa” (il prodotto residuato dall’ultima spremitura
delle olive, costituito per lo più da bucce, rimasugli di polpa e frammenti di
nocciolo) ovvero la “vinaccia” (l’insieme di bucce, vinaccioli e graspi dell’uva
spremuta che residuano dalla vinificazione). Dal grammatico Frinico (EcZ. 385;
cfr. inoltre Athen. Epit. II. p. 56d [~ Eust. in Od. p. 1963.59-60]; Phot, β 297; e
vd. lo schol. [VEPr30MLh; Aid.] Ar. Eq. 806b Jones-Wilson) veniamo informati
che la prima accezione era nota soprattutto agli Attici, che, con il termine,
erano soliti indicare una varietà di torta salata (una sorta di quiche; Poli. I.
248 annovera tale pietanza in un elenco di pani e focacce), a base appunto di
sansa e considerata un “cibo per contadini” (cfr. Ar. Eq. 806, Nu. 45; vd. Garcia
Soler 2001, s. v. Aceituna (elaia), p. 66 con n. 101).
διπυρίτας Oltre a Frinico, il sostantivo vanta due ulteriori occorrenze
in letteratura: Hp. Int. 25.20 (= VII, p. 232.1 Littré: vd. infra); Constantinus
Manasses, Carmen Morale, v. 902 Miller. Altrimenti chiamato δίπυρος άρ-
τος (dalla Suda [δ 1265] veniamo informati che il δίπυρος άρτος era noto,
παρά 'Ρωμαίοις - «ubi per Romanos intellegit Graecos Constantinopolim
inhabitantes»: J. Kuhn, ap. Lederlin/Hemsterhuys 1706, p. 701 n. 92 -, con
il nome di παξαμάς [per cui cfr. inoltre Suid. π 254]), questo tipo di pane era
269 II sostantivo viene etimologicamente connesso con il verbo στέμβω: cfr. Frisk GEW
II, s.v., p. 788; Chantraine DELG, s.v., p. 1051; Beekes EDG, s. v., p. 1398; il verbo
στέμβω è chiosato con συνεχώς κινεΐν (“muovere continuativamente”, “scuotere”)
da Philox. fr. 450 Theodoridis e con ύβρίζειν (“maltrattare”) da Eust. in II. p. 235.8.