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Phrynichus; Stama, Felice [Hrsg.]
Fragmenta comica (FrC) ; Kommentierung der Fragmente der griechischen Komödie (Band 7): Frinico: introduzione, traduzione e commento — Heidelberg: Verlag Antike, 2014

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https://doi.org/10.11588/diglit.53735#0128
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124

Phrynichos

a άνιέναι τάγαθά è espresso in Aesch. Pers. 222 (il coro di Persiani invita la
regina Atossa a versare libagioni alla Terra e ai morti e a sciogliere preghiere
al defunto marito Dario, affinché possa έσθλά [...] πέμπειν [...] γης ένερθεν
ές φάος) e in Ch. 147-148 (si tratta dell’invocazione di Elettra sulla tomba di
Agamennone, ήμΐν δε πομπός ’ίσθι των έσθλών άνω / συ θεοΐσι καί γη kcx'l
δίκη νικηφόρω127); un’immagine analoga è possibile inoltre cogliere nel v. 3
del fr. **132c dei Myrmidones di Eschilo (il testo è lacunoso: in merito vd. le
notazioni di Radt [TrGFIII, p. 245] ; e cfr. ora Totaro 2012). Va infine segnalata
l’occorrenza del costrutto in Plato Crat. 403e: τοΐς ενθάδε τοσαυτα άγαθά
άνίησιν (il passo verte sulla figura di Ade/Πλούτων).
δεύρο “Qui”, “quassù”, vale a dire nel mondo dei viventi, opposto all’al-
dilà (indicato per mezzo dell’avverbio εκεί nella formula rituale canonica: vd.
suprd): in merito cfr. Crusius 1910, p. 68. Molto ‘poetico’ il tentativo di resa
del verso da parte di Edmonds (FACI, p. 457: «Send up good things from thè
land of sleep»), il quale, senza tradurre l’avverbio δεϋρο, recupera nell’azione
espressa dal verbo άνιέναι (propriamente “mandare su”; cfr. LSJ, s.v. [LI],
p. 143: «send up», in genere «from thè grave or nether world») l’idea della
contrapposizione tra dimensione terrena e dimensione ultraterrena contenuta
nell’espressione άνίει δεύρο σύ τάγαθά. Meno ‘aulica’ la traduzione offerta
invece da Storey (FOCHI, p. 57): «send up good things».
τάγαθά Crasi per τά αγαθά. L’aggettivo sostantivato άγαθά ricorre con
una certa frequenza nella poesia comica, dove non di rado assume il significato
di “beni materiali” (cfr. LSJ, s.v. άγαθός [II.4], p. 4: «good things», «dainties»):
cfr., e.g., Epich. fr. 271; Cratin. fr. 172; Pherecr. frr. 113.2, 203; Ar. Pax 1326,
1334, Av. 1103, PI. 1121, 1125, frr. 335.1, 504.14; Anaxandr. fr. 42.35; Amphis
fr. 28; Alex. fr. 176.2; Mnesim. fr. 4.65; Diph. frr. 14.1, 42.3; Men. Epit. 273, fr.
670.2 (in merito vd. Pellegrino 2012, p. 148 n. 20; Wilkins 2000, pp. 124-126,
204); nel presente passo la forma univerbata è resa con un generico “benefici”,
non essendo infatti possibile, a causa dell’assenza di un preciso contesto di
riferimento, determinare la natura dei suddetti άγαθά.
2 (ήμΐν)... τοΐς τήνδ’ έχουσι τήν πόλιν La locuzione έχω + accusativus
loci vale “abitare”, “occupare” (cfr. LSJ, s.v. έχω [A.3], p. 749: «inhabit»). In
letteratura ricorre spesso a indicare il “possesso” di un luogo da parte di numi
(tutelari), di eroi ovvero di personaggi mitologici (riferito a figure divine: cfr.,
e.g., II. V.890, XXI.267; Hes. Op. 128; Aesch. Eum. 24; Soph. Tr. 200; Ar. Eh. 1140
[ή πόλιν ήμετέραν έχει, detto di Atena: contesto lirico]; eroi: cfr., e.g., Soph.

127 II raffronto tra questo passo e i versi di Frinico veniva istituito già da Reitzenstein
(1907, p. xxi) e da van Leeuwen (1907, pp. 268-269).
 
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