Μονότροπος (fr. 19)
143
tre che in Frinico, in Aristofane (Eq. 706, V. 406, 455, 1105; cfr. inoltre V.
501 [όξυθυμηθεΐσα], Eh. 466 [όξυθυμεΐσθαι]) e in Menandro (Georg, fr. 3.3
Sandbach [= fr. 3.3 Arnott = fr. 3.3 Austin]); cfr. Ps.-Epich. fr. 264.1: όξύθυμον;
Eup. fr. 132.1: όξυθυμίοις. Una descrizione degli individui οξύθυμοι offre
Ippocrate (Epid. II. 6. 1 [= V, p. 132 Littré]): costoro hanno la testa grossa, gli
occhi piccoli, sono affetti da balbuzie (ήν ή κεφαλή μεγάλη καί οί οφθαλμοί
σμικροί, τραυλοί, οξύθυμοι) e tendono a non chiudere mai le palpebre
(άσκαρδαμύκται).
«πρόσοδον Mai attestato prima di Frinico in riferimento al βίος (solita-
mente, il vocabolo è impiegato, in autori tardi, come Procopio di Cesarea, per
descrivere luoghi inaccessibili: cfr., e.g., Aed. II. 4. 12, Goth. IV. 16. 21), l’agget-
tivo sembra completare l’immagine della solitudine del Monotropos tracciata
nella prima parte del verso: senza moglie e senza servitù ovvero figli (vd.,
supra, ad Testo), il personaggio eponimo del dramma è completamente solo:
cfr. Phryn. PS, p. 43.15-16: απρόσοδος βίος· ώ ούδείς πρόσεισιν, άλλ’ έρημος,
che, con ogni probabilità, va ricondotto al passo in questione (vd., supra, ad
Contesto della citazione). Un composto analogo è l’aggettivo δυσπρόσοδος,
attestato unicamente in prosa: cfr., e.g., Th. I. 130. 2 (nel contesto tucidideo il
termine è associato al sintagma όργή χαλεπή); X. Ages. 9. 2; e vd. l’aggettivo
απροσπέλαστος, che, in Plut. Ant. 70. 6, ricorre a qualificare il τάφος del mi-
santropo Timone.
4 «γελαστόν Per tale epiteto - di elevata tradizione poetica, come si
evince dal suo impiego in Omero (Od. Vili.307; cfr. inoltre h.Cer. 200) e nel
teatro eschileo (cfr. Ag. 794, Ch. 30, fr. 290) - si registrano, nell’uso letterario,
due possibilità di impiego: una ‘attiva’: “che non ride”, “serio”, “cupo” (cfr. LSJ,
s. v. [I], p. 8: «not laughing», «grave»; tale accezione è rintracciabile, per es., in
h.Cer. 200 [l’aggettivo qualifica la mater dolorosa Demetra]; cfr. inoltre Aesch.
Ag. 794: άγέλαστα πρόσωπα, fr. 290: φρήν άγέλαστος), e una ‘passiva’: “di
cui non si ride” (cfr. LSJ, s.v. [II], p. 8: «not to be laughed at»\ soprattutto in
riferimento a cose ovvero accadimenti tristi (così, e.g., in Od. Vili.307: έργ’
άγέλαστα; Aesch. Ch. 30: άγελάστοις ξυμφοραΐς). Nel presente contesto l’ag-
gettivo άγέλαστος sembra avere un significato attivo: poiché il Monotropos è
persona “che non ride”, o meglio “che non è capace di ridere” (ó πρός γέλωτα
ούκ έπιτήδειος: così viene spiegato il vocabolo da ΣΒ a 269 [= AG I, p. 337.6;
An.Bachm. I, p. 22.12] e da Phot, a 148, che, probabilmente, attingono la glossa
da Frinico atticista [PS, fr. *60]), per estensione, anche la sua vita è “cupa”,
“triste”: in altre parole, “senza sorrisi”.
«διάλεκτον L’aggettivo - un hapax in letteratura - sintetizza quanto
detto in precedenza dal Monotropos: senza moglie, senza servitù ovvero figli
(vd., supra, ad Testo), lontano da tutti (v. 3), il personaggio eponimo della
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tre che in Frinico, in Aristofane (Eq. 706, V. 406, 455, 1105; cfr. inoltre V.
501 [όξυθυμηθεΐσα], Eh. 466 [όξυθυμεΐσθαι]) e in Menandro (Georg, fr. 3.3
Sandbach [= fr. 3.3 Arnott = fr. 3.3 Austin]); cfr. Ps.-Epich. fr. 264.1: όξύθυμον;
Eup. fr. 132.1: όξυθυμίοις. Una descrizione degli individui οξύθυμοι offre
Ippocrate (Epid. II. 6. 1 [= V, p. 132 Littré]): costoro hanno la testa grossa, gli
occhi piccoli, sono affetti da balbuzie (ήν ή κεφαλή μεγάλη καί οί οφθαλμοί
σμικροί, τραυλοί, οξύθυμοι) e tendono a non chiudere mai le palpebre
(άσκαρδαμύκται).
«πρόσοδον Mai attestato prima di Frinico in riferimento al βίος (solita-
mente, il vocabolo è impiegato, in autori tardi, come Procopio di Cesarea, per
descrivere luoghi inaccessibili: cfr., e.g., Aed. II. 4. 12, Goth. IV. 16. 21), l’agget-
tivo sembra completare l’immagine della solitudine del Monotropos tracciata
nella prima parte del verso: senza moglie e senza servitù ovvero figli (vd.,
supra, ad Testo), il personaggio eponimo del dramma è completamente solo:
cfr. Phryn. PS, p. 43.15-16: απρόσοδος βίος· ώ ούδείς πρόσεισιν, άλλ’ έρημος,
che, con ogni probabilità, va ricondotto al passo in questione (vd., supra, ad
Contesto della citazione). Un composto analogo è l’aggettivo δυσπρόσοδος,
attestato unicamente in prosa: cfr., e.g., Th. I. 130. 2 (nel contesto tucidideo il
termine è associato al sintagma όργή χαλεπή); X. Ages. 9. 2; e vd. l’aggettivo
απροσπέλαστος, che, in Plut. Ant. 70. 6, ricorre a qualificare il τάφος del mi-
santropo Timone.
4 «γελαστόν Per tale epiteto - di elevata tradizione poetica, come si
evince dal suo impiego in Omero (Od. Vili.307; cfr. inoltre h.Cer. 200) e nel
teatro eschileo (cfr. Ag. 794, Ch. 30, fr. 290) - si registrano, nell’uso letterario,
due possibilità di impiego: una ‘attiva’: “che non ride”, “serio”, “cupo” (cfr. LSJ,
s. v. [I], p. 8: «not laughing», «grave»; tale accezione è rintracciabile, per es., in
h.Cer. 200 [l’aggettivo qualifica la mater dolorosa Demetra]; cfr. inoltre Aesch.
Ag. 794: άγέλαστα πρόσωπα, fr. 290: φρήν άγέλαστος), e una ‘passiva’: “di
cui non si ride” (cfr. LSJ, s.v. [II], p. 8: «not to be laughed at»\ soprattutto in
riferimento a cose ovvero accadimenti tristi (così, e.g., in Od. Vili.307: έργ’
άγέλαστα; Aesch. Ch. 30: άγελάστοις ξυμφοραΐς). Nel presente contesto l’ag-
gettivo άγέλαστος sembra avere un significato attivo: poiché il Monotropos è
persona “che non ride”, o meglio “che non è capace di ridere” (ó πρός γέλωτα
ούκ έπιτήδειος: così viene spiegato il vocabolo da ΣΒ a 269 [= AG I, p. 337.6;
An.Bachm. I, p. 22.12] e da Phot, a 148, che, probabilmente, attingono la glossa
da Frinico atticista [PS, fr. *60]), per estensione, anche la sua vita è “cupa”,
“triste”: in altre parole, “senza sorrisi”.
«διάλεκτον L’aggettivo - un hapax in letteratura - sintetizza quanto
detto in precedenza dal Monotropos: senza moglie, senza servitù ovvero figli
(vd., supra, ad Testo), lontano da tutti (v. 3), il personaggio eponimo della