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Phrynichus; Stama, Felice [Hrsg.]
Fragmenta comica (FrC) ; Kommentierung der Fragmente der griechischen Komödie (Band 7): Frinico: introduzione, traduzione e commento — Heidelberg: Verlag Antike, 2014

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https://doi.org/10.11588/diglit.53735#0324
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320

Phrynichos

Metro Trimetro giambico.
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Bibliografia Meineke 1827, p. 10; Bergk 1838, p. 377; Meineke FCG1, p. 157;
Meineke FCG ILI, pp. 605-606 [Inc.fab. fr. xiii]; Meineke Ed.min., p. 239 [Ine.
fab. fr. xiii]; Bothe PCGF, p. 220 [Inc.fab. fr. 13]; Kock CAF1, p. 387; Blaydes
Adv. II, p. 54; Norwood 1931, p. 153; Weinreich II, p. 409; Edmonds FAC I,
pp. 470-471 [fr. 65]; Kassel/Austin PCG VII, pp. 422-423; Conti Bizzarro 1999,
p. 77; Storey FOC III, pp. 76-77 [fr. 68]
Contesto della citazione Questo trimetro giambico è citato da Diogene
Laerzio nella sezione del IV libro delle Vite dei filosofi (§§ 16-20) riservata
alla figura di Polemone (LGPNld, s. v. [19], p. 370; PAA 776720), successore di
Senocrate di Calcedone alla guida dell’Accademia dal 316/2 a. C. fino alla sua
morte avvenuta intorno al 266/5 a. C. (in merito cfr. Fritz 1952, pp. 2524.8-
2525.10). Del filosofo lo storico Diogene attesta la grande passione per la
produzione poetica di Sofocle e la predilezione per due versi comici, rispet-
tivamente di Aristofane (fr. 958) e di Frinico, in cui, attraverso l’uso della
metafora, il tragediografo era presentato come un autore αυστηρός, capace di
comporre versi dalla forte tensione emotiva, quasi che un vigile cane Molosso
avesse collaborato alla loro stesura e che avessero il sapore di un vino forte e
asprigno, come quello Pramnio, e non manipolato ed edulcorato.
Il frammento di Frinico è inoltre preservato da una glossa della Suda (υ 644)
s. v. ύπόχυτος οίνος, dove, però, viene individuato erroneamente in Polemone
il soggetto alluso nel passo comico.
Interpretazione II verso contiene una suggestiva metafora ‘enologica’ per
mezzo della quale - come chiarisce Diogene Laerzio - la persona loquens
intende qualificare Sofocle e, metonimicamente, la sua τέχνη ποιητική. Il
legame tra poesia e vino (e, per antitesi, tra poesia e acqua) vanta una ricca
tradizione letteraria sia nel mondo greco che in quello latino: per gli antichi
Ι’οίνος, il “vino”, ha sempre rappresentato l’ispirazione dionisiaca, l’irrazionale
ένθουσιαμός d’importanza fondamentale nella composizione artistica. Già
Archiloco - sulla scia di Omero (cfr., e.g., II. VI.261: άνδρί δέ κεκμηώτι μένος
μέγα οίνος άέξει; vd. inoltre Od. XIV.464-466) - elogiava il vino, perché, ο’ίνω
συγκεραυνωθείς φρένας, aveva composto il “bel canto di Dioniso signore”
(Διωνύσου άνακτος καλόν [...] μέλος: fr. 120 W'.); per parte sua, il siciliano
Epicarmo (fr. 131) sentenziava come “non v’è ditirambo, se bevi acqua” (ούκ
έστι διθύραμβος, δκχ’ ύδωρ πίης). D’altra parte, sul motivo letterario del poeta
vinosus è imperniata la celebre disputa fra Aristofane (cfr. Eq. 534-535: vd.,
supra, ad Κόννος) e Gratino (fr. ine. fab. 203: ύδωρ δέ πίνων ούδέν αν τέκοις
 
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