Άθηνάς γοναί (fr. 6)
63
κάτοπτρον βλέπουσαν προς την παρ’ αυτής έμφασιν εις αύτό γιγνομένην ώς έτέρα
προσλαλεΐν γυναικί. μέμνηται ταύτης Έρμιππος έν Άθηνάς γοναίς καί Άμφις έν τω
όμωνύμω αυτή δράματι (Amphis Akko). άκκίζη ούν φησίν αντί τού ανοηταίνεις οία
γυνή, μή είδέναι προσποιούμενος.
Γakkizesthai (fare l’Acco) raccontano che sia stato detto a partire da una donna chia-
mata Acco, che dicono così stupida da prendere un vestito dal telaio realizzato a
metà e da indossarlo, e da chiacchierare come se fosse in compagnia di un’altra donna,
guardando nello specchio, al riflesso di lei sul vetro. Di Acco si ricorda Ermippo in
Athénas gonai e Anfide nel dramma omonimo (Amphis Akko). La parola akkizèi (tu fai
l’Acco) dunque si dice in luogo di ‘sei privo di intelligenza’ come la donna, fingendo
di non sapere.
Bibliografia Wilamowitz 1873, 141; Zielifiski 1931, 92, 115; Winkler 1982,
137-138; West 2001, 601-603.
Contesto di citazione In schol. PI. Grg. 326a Cufalo, si discute del verbo
άκκίζομαι e di Ακκώ. In riferimento a quest’ultima è citato il frammento di
Ermippo. In questo caso, il materiale degli scholia vetera a Platone può derivare
da Suet. περί βλασφημιών 194 Ακκώ Taillardat. Per riferimenti e confronti
con la tradizione paremiografica e lessicale legata a Ακκώ e άκκίζομαι, cfr.
Cufalo 2007, 243.
Interpretazione II nome Ακκώ è stato di recente accostato alla parola acca-
dica akku “civetta” (West 2001, 601-603), ma gli accostamenti etimologici più
certi sono stati stabiliti col latino Acca Larentia e il sanscrito akka (EDG s. v.).
Al nome proprio sono collegati il verbo άκκίζομαι “fingo disinteresse” (Pi. fr.
203 Maehler; Philippid. fr. 5.2 K-A; Men. Epit. 526) e il sostantivo ακκισμός “ri-
trosia” (Philem. fr. 3.14 K-A): sia il verbo άκκίζομαι che il sostantivo άκκισμός
indicano un atteggiamento che consiste in un finto disinteresse per qualco-
sa/ qualcuno a cui in realtà si è interessati; per le diverse accezioni cfr. Erasmo
da Rotterdam Adagia §§1199-1200; Winkler 1982, 137 con n. 5.
Sono trasmessi tre aneddoti ridicoli sul conto di Acco: (1) la scelta di in-
dossare un vestito semi-tessuto (Suet. περί βλασφημιών 194 Ακκώ Taillardat;
schol. PI. Grg. 326a Cufalo); (2) una conversazione con la propria immagine
riflessa sullo specchio, come se questa fosse un’altra donna (schol. PI. Grg. 326a
Cufalo; per le altre fonti che riportano l’aneddoto, cfr. Winkler 1982, 137 n. 1);
(3) l’utilizzo di una spugna per battere un chiodo (Suid. a 946 ταύτην φασί καί
σπόγγο πάτταλον κρούειν). Tutte queste azioni hanno un chiaro potenziale
comico e sono adatte alla messinscena. In particolare, il motivo dello specchio
e del rispecchiamento si ritrova in altri contesti umoristici (cfr. Philogelos 11,
33), mentre l’aneddoto sul vestito incompleto che viene indossato da Acco
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κάτοπτρον βλέπουσαν προς την παρ’ αυτής έμφασιν εις αύτό γιγνομένην ώς έτέρα
προσλαλεΐν γυναικί. μέμνηται ταύτης Έρμιππος έν Άθηνάς γοναίς καί Άμφις έν τω
όμωνύμω αυτή δράματι (Amphis Akko). άκκίζη ούν φησίν αντί τού ανοηταίνεις οία
γυνή, μή είδέναι προσποιούμενος.
Γakkizesthai (fare l’Acco) raccontano che sia stato detto a partire da una donna chia-
mata Acco, che dicono così stupida da prendere un vestito dal telaio realizzato a
metà e da indossarlo, e da chiacchierare come se fosse in compagnia di un’altra donna,
guardando nello specchio, al riflesso di lei sul vetro. Di Acco si ricorda Ermippo in
Athénas gonai e Anfide nel dramma omonimo (Amphis Akko). La parola akkizèi (tu fai
l’Acco) dunque si dice in luogo di ‘sei privo di intelligenza’ come la donna, fingendo
di non sapere.
Bibliografia Wilamowitz 1873, 141; Zielifiski 1931, 92, 115; Winkler 1982,
137-138; West 2001, 601-603.
Contesto di citazione In schol. PI. Grg. 326a Cufalo, si discute del verbo
άκκίζομαι e di Ακκώ. In riferimento a quest’ultima è citato il frammento di
Ermippo. In questo caso, il materiale degli scholia vetera a Platone può derivare
da Suet. περί βλασφημιών 194 Ακκώ Taillardat. Per riferimenti e confronti
con la tradizione paremiografica e lessicale legata a Ακκώ e άκκίζομαι, cfr.
Cufalo 2007, 243.
Interpretazione II nome Ακκώ è stato di recente accostato alla parola acca-
dica akku “civetta” (West 2001, 601-603), ma gli accostamenti etimologici più
certi sono stati stabiliti col latino Acca Larentia e il sanscrito akka (EDG s. v.).
Al nome proprio sono collegati il verbo άκκίζομαι “fingo disinteresse” (Pi. fr.
203 Maehler; Philippid. fr. 5.2 K-A; Men. Epit. 526) e il sostantivo ακκισμός “ri-
trosia” (Philem. fr. 3.14 K-A): sia il verbo άκκίζομαι che il sostantivo άκκισμός
indicano un atteggiamento che consiste in un finto disinteresse per qualco-
sa/ qualcuno a cui in realtà si è interessati; per le diverse accezioni cfr. Erasmo
da Rotterdam Adagia §§1199-1200; Winkler 1982, 137 con n. 5.
Sono trasmessi tre aneddoti ridicoli sul conto di Acco: (1) la scelta di in-
dossare un vestito semi-tessuto (Suet. περί βλασφημιών 194 Ακκώ Taillardat;
schol. PI. Grg. 326a Cufalo); (2) una conversazione con la propria immagine
riflessa sullo specchio, come se questa fosse un’altra donna (schol. PI. Grg. 326a
Cufalo; per le altre fonti che riportano l’aneddoto, cfr. Winkler 1982, 137 n. 1);
(3) l’utilizzo di una spugna per battere un chiodo (Suid. a 946 ταύτην φασί καί
σπόγγο πάτταλον κρούειν). Tutte queste azioni hanno un chiaro potenziale
comico e sono adatte alla messinscena. In particolare, il motivo dello specchio
e del rispecchiamento si ritrova in altri contesti umoristici (cfr. Philogelos 11,
33), mentre l’aneddoto sul vestito incompleto che viene indossato da Acco