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Hermippos

ίούσ(α) e dalla reminiscenza di alcuni casi di interruzione di sacrificio ani-
male in commedia e spostamento aH’interno della casa (Ar. P. 1020-1022, Av.
1056-1057; cfr. Dunbar 1995, ad Ar. Av. 848-849). L’unico argomento che può
portare a scegliere έσω al posto di έγώ è dato dal possibile tono paratragico
del frammento (Ellendt 1872, 218), che però non è possibile dimostrare con
certezza.
v. 2. La correzione in σεσωμένου dal tràdito σεσωσμένου si deve a Sandbach
(<2p. Gomme-Sandbach 1973, adMen. Sam. 609): questa notazione ortografica è
giustificata dalle osservazioni dei grammatici antichi e dai testi delle epigrafi,
cfr. Finglass 2011, ad S. Aj. 691-692 con bibliografia.
Interpretazione Una donna, quasi certamente una madre, esprime l’intento
di onorare gli dèi e bruciare per loro dell’incenso per il salvataggio del figlio/-a.
Il tono è serio, il metro è regolare e c’è almeno un punto di contatto con la
tragedia per l’espressione τού τέκνου σεσωμένου (cfr. E. Andr. 27 σωθέντος
τέκνου): non è chiaro però se la battuta sia propriamente paratragica oppure
semplicemente attesti un linguaggio convenzionale dal tono serio e solenne,
che in commedia ricorre per la descrizione dei sacrifici (Dunbar 1995, ad Ar.
Av. 1056-1057).
Dal punto di vista drammaturgico, queste parole sono delle precise indica-
zioni che annunciano l’uscita di scena della persona loquens (cfr. in particolare
Ar. PI. 768-769) dalla porta della σκηνή o attraverso una delle due είσοδοι.
Il frammento è stato interpretato come una promessa di sacrificio pronun-
ciata dalla madre di Iperbole dopo che suo figlio è stato salvato (Fritzsche 1836,
138; Bergk 1838, 315; Meineke 1839a, 93) da qualche pericolo, come ad esempio
un processo (Henderson 1987b, 113): l’ipotesi è suggestiva, ma indimostrabile.
1 φέρε νυν “bene, adesso/quindi”. L’espressione composta da φέρε e
vùv (con valore temporale o logico-inferenziale, cfr. supra, Testo v. 1) è qui
seguita dal congiuntivo aoristo, come avviene solitamente (Goodwin 1875,
§85). L’esclamazione φέρε νύν/νυν ricorre anche in tragedia (S. Ph. 1452; E. Or.
1281-1282) e prosa (PI. Plt. 294d), ma è maggiormente attestata in commedia
(Gratin, fr. 58.1 K-A; Ar. Eq. 113, Nu. 731, V. 54, 826, 848, 1516, Lys. 864, 916,
Ec. 28 ecc.). L’impiego di φέρε, riconducibile alla lingua colloquiale (Lopez Eire
1996, 98), è finalizzato ad attirare l’attenzione e/o a mantenere il contatto tra
i parlanti nella comunicazione (Stevens 1976, 42).
άγήλω Congiuntivo aoristo di άγάλλω. Il verbo è riconosciuto come
lessico attico (Phot, a 164) e ricorre di solito per indicare l’azione di onorare
gli dèi, cfr. Ar. P. 399 (con Olson 1998, ad Ar. P. 396-399), Th. 128; Eup. fr. 131
K-A; Theopomp.Com. fr. 48 K-A; PI. Lg. 11.931a.
ίούσ’ έγώ II participio femminile di είμι è altrove utilizzato in maniera
assoluta (cfr. A. Ch. 779; Crates Com. fr. 16.7 K-A διάνιζ’ ίούσα σαυτήν). In
 
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