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Θεοί (fr. 35)

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Bibliografia Cobet 1858, 776; Id. 1861, 77; Becq de Fouquières 1869, 51-54;
Kaibel (fl901) ms. ap. Kassel-Austin 1986, 577.
Contesto di citazione Polluce descrive il gioco dei πεντέλιθα (Poli. 9.126),
dopo averne fatto una breve menzione nell’elenco introduttivo alla sezione
(Poli. 9.122). La fase descritta da Polluce corrisponde a uno dei momenti più
importanti di questo gioco di destrezza: il lancio delle pietre, la cattura col
dorso della mano e il tentativo di recuperare con le dita le pietre cadute a
terra senza far cadere quelle in equilibrio sul dorso (cfr. tav. 1, fig. 2 in Budd-
Newman 1941, 12-13). Per la tradizione lessicografica su questo gioco cfr.
anche Cobet 1861, 77; Theodoridis 2013, 200.
Testo La forma attestata in Ar. fr. 383 K-A ap. Poli. 9.126 rr. 8, 10 è πεντέλιθα
ed è da preferire al πεντάλιθα che si legge in Poli. 9.122 e 9.126 r. 3. Il verbo
è trasmesso nei codici di Polluce con la grafia πενταλιθίζειν, ma cfr. Phot, π
584 πεντελιθίζειν· διά τού ε λέγουσιν, Cobet 1858, 776.
Interpretazione II frammento fa riferimento a un contesto ludico come in
Hermipp. fr. 27 K-A: l’azione è stata attribuita alle divinità protagoniste della
commedia (Kaibel ms. ap. Kassel-Austin 1986, 577). Per una situazione analoga
cfr. il gioco del lancio di astragali (πλειστοβολίνδα) tra Eros e Ganimede in
A.R. 3.117-127.
Il verbo πεντελιθίζειν “giocare a cinque pietre” è un verbo denominativo
da πεντέλιθα. Per simili verbi tratti da giochi cfr. άρτιάζειν “giocare a pari e
dispari” (Ar. PI. 816); χαλκίζειν “giocare a testa o croce” (Alex. fr. 338 K-A).
Il gioco dei πεντέλιθα è diffuso ancora in Europa: cfr. l’inglese jacks o knuc-
kle-bones in Budd-Newman 1941, 8; il francese osselets in Becq de Fouquières
1869, 51; l’italiano “cinque pietre” in Italia meridionale e i πεντάβολα in greco
moderno. Il gioco consiste in una serie di mosse di abilità da effettuare con
una sola mano e realizzate tramite il lancio di cinque astragali o pietruzze:
un resoconto dettagliato delle diverse fasi di gioco si legge in Budd-Newman
1941, 12-17. Le attestazioni certe del gioco dei πεντέλιθα in età classica sono
date dalla pericope in Poli. 9.126 e consistono nel frammento di Ermippo e
in Ar. fr. 383 K-A πεντελίθοισί θ’ όμού λεκάνης παραθραύμασι. Una terza
testimonianza è data da una pittura su marmo (20 a. C.-37 d. C.), proveniente
da Ercolano (Museo Archeologico Nazionale di Napoli, inv. 9562), che è un
probabile rifacimento da un esemplare greco di età classica: per la bibliografìa
e i riferimenti cfr. Sampaolo- Bragantini 2009,167. La pittura raffigura cinque
donne rese riconoscibili dalla presenza di didascalie: tra queste, Aglaia e Ilaria,
due figlie di Niobe, sono intente a giocare ai πεντέλιθα e Ilaria ha sul dorso
della mano degli astragali, mentre due stanno cadendo al suolo. La pittura
di Ercolano sembra confermare la notizia di Polluce (9.127) sulla diffusione
 
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