Κέρκωπες (fr. 36)
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come il ditirambografo Cinesia che scrive ditirambi per un coro di uccelli. La
notizia secondo cui anche Leotrofide sarebbe un ditirambografo (Suid. λ 278
κούφος ήν διθυραμβοποιός ό Λεωτροφίδης) è esito di autoschediasmo per
analogia con Cinesia: in Ar. Av. 1406 Leotrofide è infatti menzionato come
possibile corego dei ditirambi di Cinesia e non come ditirambografo. Sempre
a proposito di una discussione sulla magrezza di Leotrofide (JLeotrephide),
Erasmo da Rotterdam negli Adagia (§3623) cita i vv. 2-3 di questo frammento
Ermippo (θύουσιν ήδη βοίδια | Λεωτρεφίδου λεπτότερα κα'ι Θαυμάντιδος).
Per l’analisi della glossa dell’Antiatticista cfr. infra, Testo, v. 2.
Testo v. 1. La sequenza trasmessa come νύν· oi γάρ πενόμενοι (Ath. (A)
12.551a) deve essere emendata per ragioni metriche. La proposta di espunzione
di oi (Cobet ms. ap. Peppink 1936, 75) è certamente più plausibile dell’espun-
zione di vùv (Meineke 1839b, 393; così anche i mss. dell’epitome e Eustazio) o
di riscrittura del trimetro come νυνφ γάρ <ώσπερ> πενόμενοι (Blaydes 1896,
30). Per paralleli sull’aggiunta di articoli nel testo di Ateneo cfr. Hermipp. fr.
24 K-A, Testo v. 2.
v. 2. La forma βοίδιον (schol. vet. (V) Ar. Av. 1406c) è da preferire alle forme
βοίδιον (Ath. 12.551a; schol. vet. Ar. Av. 1406c; Suid. λ 278) e βούδιον (Antiatt.
β 37). La forma βούδιον (attestata anche in PFlor. 2.150.2, 11; OMich. 1.91.4;
entrambi databili al III sec. d. C.) è da scartare sulla base delle attestazioni
della forma βοίδιον/βοίδιον nelle epigrafi attiche di inizio IV sec. a.C. (IG
II2 1388.54; 1393.34; 1400.53), nel testo di Ar. Ach. 1036, Men. Syc. 184 e sulla
base anche delle annotazioni di Phryn. Ecl. 61 νοίδιον καί βοίδιον αρχαία καί
δόκιμα, ούχί νούδιον και βούδιον, Philemo Att. ap. Cohn 1898, 356. Inoltre, è
forte il sospetto che nell’Antiatticista la forma βούδιον possa derivare da una
banalizzazione del testo di Ermippo, come ha sostenuto Latte (1915, 376 n. 2 =
1968, 215 n. 2). Tra la forma quadrisillabica (βοίδιον) o trisillabica (βοίδιον)
occorre scegliere la forma trisillabica per due motivi: (1) la tendenza generale
dell’attico a unire le vocali in dittonghi, cfr. όϊστός “freccia” con l’attico οίστός
e vd. anche Phryn. Ecl. 223; Lobeck 1820, 87. (2) Nella sezione di AP9.713-742
sul βοίδιον Μύρωνος la forma stabilita dal metro è βοίδιον: cfr. AP 9.713.1,
9.714.1, 9.715.2.
Interpretazione Chi è povero o parsimonioso compie dei sacrifici modesti
agli dèi, come la capra descritta in Ar. Av. 901-902 ούδέν άλλο πλήν | γένειόν
τ’ έστί καί κέρατα “nient’altro che | mento e corna” e l’agnello descritto in
Plaut. Aid. 564 ossa acpellis totust. Per contrasto, la ricchezza è una prerogativa
fondamentale per fare sacrifici degni degli dèi: cfr. Ar. PI. 137-142. In generale
sul motivo delle offerte misere cfr. ancora Men. Syc. 183-186; Thphr. Char.
10.11, 22.4; Theoc. 4.20-22; Lue. jTr. 15.
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come il ditirambografo Cinesia che scrive ditirambi per un coro di uccelli. La
notizia secondo cui anche Leotrofide sarebbe un ditirambografo (Suid. λ 278
κούφος ήν διθυραμβοποιός ό Λεωτροφίδης) è esito di autoschediasmo per
analogia con Cinesia: in Ar. Av. 1406 Leotrofide è infatti menzionato come
possibile corego dei ditirambi di Cinesia e non come ditirambografo. Sempre
a proposito di una discussione sulla magrezza di Leotrofide (JLeotrephide),
Erasmo da Rotterdam negli Adagia (§3623) cita i vv. 2-3 di questo frammento
Ermippo (θύουσιν ήδη βοίδια | Λεωτρεφίδου λεπτότερα κα'ι Θαυμάντιδος).
Per l’analisi della glossa dell’Antiatticista cfr. infra, Testo, v. 2.
Testo v. 1. La sequenza trasmessa come νύν· oi γάρ πενόμενοι (Ath. (A)
12.551a) deve essere emendata per ragioni metriche. La proposta di espunzione
di oi (Cobet ms. ap. Peppink 1936, 75) è certamente più plausibile dell’espun-
zione di vùv (Meineke 1839b, 393; così anche i mss. dell’epitome e Eustazio) o
di riscrittura del trimetro come νυνφ γάρ <ώσπερ> πενόμενοι (Blaydes 1896,
30). Per paralleli sull’aggiunta di articoli nel testo di Ateneo cfr. Hermipp. fr.
24 K-A, Testo v. 2.
v. 2. La forma βοίδιον (schol. vet. (V) Ar. Av. 1406c) è da preferire alle forme
βοίδιον (Ath. 12.551a; schol. vet. Ar. Av. 1406c; Suid. λ 278) e βούδιον (Antiatt.
β 37). La forma βούδιον (attestata anche in PFlor. 2.150.2, 11; OMich. 1.91.4;
entrambi databili al III sec. d. C.) è da scartare sulla base delle attestazioni
della forma βοίδιον/βοίδιον nelle epigrafi attiche di inizio IV sec. a.C. (IG
II2 1388.54; 1393.34; 1400.53), nel testo di Ar. Ach. 1036, Men. Syc. 184 e sulla
base anche delle annotazioni di Phryn. Ecl. 61 νοίδιον καί βοίδιον αρχαία καί
δόκιμα, ούχί νούδιον και βούδιον, Philemo Att. ap. Cohn 1898, 356. Inoltre, è
forte il sospetto che nell’Antiatticista la forma βούδιον possa derivare da una
banalizzazione del testo di Ermippo, come ha sostenuto Latte (1915, 376 n. 2 =
1968, 215 n. 2). Tra la forma quadrisillabica (βοίδιον) o trisillabica (βοίδιον)
occorre scegliere la forma trisillabica per due motivi: (1) la tendenza generale
dell’attico a unire le vocali in dittonghi, cfr. όϊστός “freccia” con l’attico οίστός
e vd. anche Phryn. Ecl. 223; Lobeck 1820, 87. (2) Nella sezione di AP9.713-742
sul βοίδιον Μύρωνος la forma stabilita dal metro è βοίδιον: cfr. AP 9.713.1,
9.714.1, 9.715.2.
Interpretazione Chi è povero o parsimonioso compie dei sacrifici modesti
agli dèi, come la capra descritta in Ar. Av. 901-902 ούδέν άλλο πλήν | γένειόν
τ’ έστί καί κέρατα “nient’altro che | mento e corna” e l’agnello descritto in
Plaut. Aid. 564 ossa acpellis totust. Per contrasto, la ricchezza è una prerogativa
fondamentale per fare sacrifici degni degli dèi: cfr. Ar. PI. 137-142. In generale
sul motivo delle offerte misere cfr. ancora Men. Syc. 183-186; Thphr. Char.
10.11, 22.4; Theoc. 4.20-22; Lue. jTr. 15.