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Αγαμέμνων (fr. 1)

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Bibliografìa Rabe 1892, 411; Goossens 1948, 95-96; Edmonds 1957, 286;
Kassel-Austin 1986, 562.
Contesto di citazione II frammento è trasmesso nel Lexicon Messanense,
nei ff. 274v-277r (Fiorentini 2013, per litteras-, erroneamente ff. 280v-283r
nell’edizione di Rabe) del ms. S.Salv. 118, pergamenaceo del XIII sec. d. C.
(283 ff.; 18x13 cm). Il lessico è da identificare con un capitolo, il περί του ι
άνεκφωνήτου, dello scritto περί ορθογραφίας del grammatico Oro (V sec.
d. C.): cfr. Reitzenstein 1897, 287-296. Il titolo dell’opera di Ermippo è indicato
col dativo semplice in luogo dell’atteso έν con dativo: per questo impiego del
dativo cfr. la trasmissione dei titoli di Hermipp. frr. 4, 8, 14, 19, 20, 21, 22, 23,
26, 28, 32, 33, 42, 44, 45, 48, 52, 54, 66 K-A; vd. anche Kassel 1986, 37.
Testo II trimetro è trasmesso con una lacuna e l’integrazione più probabile è
μηδέ (με) ψεύση. L’ordine delle parole, infatti, sembra richiedere un’enclitica
e il pronome personale all’accusativo ha dei buoni paralleli nelle frasi con
ψεύδομαι: cfr. Ar. Nu. 261 μά τον Δί’ ού ψεύσει γέ με, Herod. 6.86 μηδέ τοϋτό με
ψεύση. La caduta del monosillabo με è comune nei testi di tragedia e commedia
(Epich. fr. 153 K-A; A. PV582; S. Aj. 1008; Ar. fr. 648 K-A) e, in questo caso, è
spiegabile anche per aplografia dopo μηδέ, come dimostrano i casi analoghi
di caduta di με, quando è preceduto da μέν (lon Hist. FGrHist 392 fr. 6; Paus.
5.25.13) e μή (Lys. 3.47; D.H. 8.47.4). Il cluster μηδέ με ha diverse attestazioni
in poesia (Od. 14.168; Thgn. 2.1296; E. El. 687; S. OC 811, fr. 442.11 Radt), al
contrario di μηδ’ εμέ che sembra attestato solo in prosa.
Tutte le altre proposte di integrazione sono meno convincenti: l’integra-
zione in (τι) (Rabe 1892, 411) inserisce immotivatamente un’attenuazione
aU’interno di un’affermazione perentoria; la proposta di integrare con (δη)
(Edmonds 1957, 286) non funziona perché la sequenza μηδέ δη si legge solo
a partire da Thphr. CP 3.12.1 e non è mai attestata in poesia; l’integrazione
con (μοι) (Kassel-Austin 1986, 562) restituisce una costruzione con ψεύδομαι
attestata solo nel greco tardo, mentre μηδ’ έ(τι) (ancora Kassel-Austin 1986,
562) introduce l’idea di un’iterazione della menzogna, che non è necessaria.
Interpretazione La persona loquens rivolge al suo interlocutore in scena
un’interrogazione sulla provenienza, accompagnata dalla richiesta di veridi-
cità. Entrambe le richieste hanno un contenuto riconducibile a contesti di pre-
sentazione, come mostrano già i versi formulari omerici τις πόθεν εις άνδρών;
πόθι τοι πόλις ήδέ τοκήες (Od. 1.170, 10.325, 14.187 ecc.), άλλ’ άγε μοι τόδε
είπέ καί άτρεκέως κατάλεξον (Od. 1.169, 24.287) e καί μοι τοϋτ’ άγόρευσον
έτήτυμον, δφρ’ έύ είδώ (Od. 1.174, 24.297). Le due tipologie di richieste sono
attestate insieme in Batr. 13-14 ξεϊνε, τίς εί; πόθεν ήλθες έπ’ ήϊόνας; τίς ό
φύσας; | πάντα δ’ άλήθευσον, μή ψευδόμενόν σε νοήσω, e cfr. anche Pi. P.
 
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