Δημόται (fr. 15)
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569; cfr. Lucil. fr. 1021 Marx proficis hilum) per essere corretta avrebbe bisogno
di un verbo intransitivo e non di κινεΐν.
νυν δ’ L’assenza del contesto non permette di prendere una decisione
definitiva tra il valore di vùv temporale (“e/ma ora”; cfr. Ar. Av. 523, Lys. 903)
o logico-inferenziale (“quindi”/“invece”; cfr. Th. 1.122.2 con GE s.v. vùv d): le
due accezioni sono molto simili e tendono a sovrapporsi.
ούδ’ άφύην Cfr. Ar. V. 91 ούδέ πασπάλην “neppure un fuscello”, detto
di cosa molto piccola. Qui la particella ούδέ ha valore avverbiale e precede
immediatamente il termine άφύην, a cui è riferita.
άφύην Ε’άφύη indica Γ“avannotto”, il “bianchetto” ed è un termine gene-
rico che indica il primo stadio del ciclo vitale di un qualsiasi pesce dell’ordine
dei Clupeiformes (alice, acciuga, sardina; cfr. Keller 1913, 336, 356; Thompson
1947, 21-23; Pellegrino 2000, 146-147) e, non a caso, è utilizzato anche il ter-
mine άφρός (Arisi. HA 569a 29), equivalente all’italiano “schiuma di mare”, per
via dell’aspetto bianco degli avannotti. L’impiego del sostantivo al singolare
in attico era oggetto di discussione (cfr. Hsch. oc 8804; Eust. in Od. p. 1657.44
(= 1.380.23-24 Stallbaum)), ma sono diversi i casi in commedia in cui la forma
del singolare è impiegata (Ar. fr. 520.1 K-A; Aristonym. fr. 2.2 K-A; Call.Com.
fr. 10 K-A).
κινεΐν II verbo è impiegato nella stessa accezione (“muovere”) che si legge
in Ar. Lys. 474. L’accezione oscena di κινέω “sbatto”, “fotto” (paralleli raccolti
in Bain 1991, 64; Olson 2016, czdEup. fr. 247.3 K-A; cfr. anche Chadwick 1996,
187) è attestata con certezza solo a partire dalla commedia attica, ma qui è da
escludersi (Bain 1991, 64 n. 102): cfr. supra, Interpretazione.
δοκεΐς “(non) dai l’impressione (di)”. Questa costruzione di δοκέω con
infinito in frasi negative è ben attestata in commedia (Ar. Eq. 1146, P. 1051, PI.
837; Eup. fr. 194.2 K-A (= Pherecr. fr. dub. 285 K-A) κούδέ γιγνώσκειν δοκών),
tragedia (E. Hipp. 119, 463, Med. 67) e prosa (PI. Euthphr. 5c), cfr. anche Olson
2016, ad Eup. fr. 194.2 K-A.
fr. 15 K-A (16 Kock)
έχοντες ’ίσον άσπίδιον όγκίω
έχοντας Kock όγκον FS
(loro) che hanno un piccolo scudo pari a un cesto di vimini
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569; cfr. Lucil. fr. 1021 Marx proficis hilum) per essere corretta avrebbe bisogno
di un verbo intransitivo e non di κινεΐν.
νυν δ’ L’assenza del contesto non permette di prendere una decisione
definitiva tra il valore di vùv temporale (“e/ma ora”; cfr. Ar. Av. 523, Lys. 903)
o logico-inferenziale (“quindi”/“invece”; cfr. Th. 1.122.2 con GE s.v. vùv d): le
due accezioni sono molto simili e tendono a sovrapporsi.
ούδ’ άφύην Cfr. Ar. V. 91 ούδέ πασπάλην “neppure un fuscello”, detto
di cosa molto piccola. Qui la particella ούδέ ha valore avverbiale e precede
immediatamente il termine άφύην, a cui è riferita.
άφύην Ε’άφύη indica Γ“avannotto”, il “bianchetto” ed è un termine gene-
rico che indica il primo stadio del ciclo vitale di un qualsiasi pesce dell’ordine
dei Clupeiformes (alice, acciuga, sardina; cfr. Keller 1913, 336, 356; Thompson
1947, 21-23; Pellegrino 2000, 146-147) e, non a caso, è utilizzato anche il ter-
mine άφρός (Arisi. HA 569a 29), equivalente all’italiano “schiuma di mare”, per
via dell’aspetto bianco degli avannotti. L’impiego del sostantivo al singolare
in attico era oggetto di discussione (cfr. Hsch. oc 8804; Eust. in Od. p. 1657.44
(= 1.380.23-24 Stallbaum)), ma sono diversi i casi in commedia in cui la forma
del singolare è impiegata (Ar. fr. 520.1 K-A; Aristonym. fr. 2.2 K-A; Call.Com.
fr. 10 K-A).
κινεΐν II verbo è impiegato nella stessa accezione (“muovere”) che si legge
in Ar. Lys. 474. L’accezione oscena di κινέω “sbatto”, “fotto” (paralleli raccolti
in Bain 1991, 64; Olson 2016, czdEup. fr. 247.3 K-A; cfr. anche Chadwick 1996,
187) è attestata con certezza solo a partire dalla commedia attica, ma qui è da
escludersi (Bain 1991, 64 n. 102): cfr. supra, Interpretazione.
δοκεΐς “(non) dai l’impressione (di)”. Questa costruzione di δοκέω con
infinito in frasi negative è ben attestata in commedia (Ar. Eq. 1146, P. 1051, PI.
837; Eup. fr. 194.2 K-A (= Pherecr. fr. dub. 285 K-A) κούδέ γιγνώσκειν δοκών),
tragedia (E. Hipp. 119, 463, Med. 67) e prosa (PI. Euthphr. 5c), cfr. anche Olson
2016, ad Eup. fr. 194.2 K-A.
fr. 15 K-A (16 Kock)
έχοντες ’ίσον άσπίδιον όγκίω
έχοντας Kock όγκον FS
(loro) che hanno un piccolo scudo pari a un cesto di vimini