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Hermippos
(a) La stringa τά μέν seguita da έχω con avverbio si legge in A. Ch. 453-454
τά μέν γάρ ούτως έχει | τά δ’ αυτός οργα μαθεΐν, E. Hel. 761 είέν· τά μέν
δή δεύρ’ άεί καλώς έχει. Come mostrano questi paralleli, non è né utile né
necessario postulare una subordinata con έχειν dipendente da un verbo come
δοκέω: cfr. le soluzioni di Hermann 1842, 508; Meineke 1858, 459; Meineke
1867, 240 (con espunzione di άπό σώματος); Kock 1880, 241-242; Kaibel ms. ap.
Kassel-Austin 1986, 588, tutte registrate in apparato. Il passaggio da έχει a έχειν
è forse spiegabile nel testo trasmesso per evitare lo iato tra έχει e άπό σώματος.
Un altro esempio di scambio nei manoscritti tra -ει (terza persona singolare
de presente indicativo) e -ειν (infinito presente attivo) è dato da δικάζει in Ar.
PI. 277: δικάζει è la forma corretta (così solo nel ms. R post correctionem), a
differenza di δικάζειν trasmesso nel resto della tradizione manoscritta.
Il τά μέν del v. 3 non è seguito da un τά δέ (cfr. A. Ch. 453-454) né da altra
forma di coordinazione: la struttura τε... τε dei w. 5-6 coordina i sintagmi
κόμη... νεανική e σφρίγει... βραχιόνων, mentre i vv. 7-8 sono in asindeto
senza necessità di dover supporre cambio di battuta (cfr. infra, Testo v. 7). In
conclusione, il μέν del v. 3 è incettivo (Denniston 1954, 383) perché si trova in
apertura di discorso e rientra nei casi di μέν non seguito da δέ come Ar. Av.
1565-1574.
Il ζγ7 introdotto per ragioni metriche al v. 3 nell’emendamento τά μέν
<γ’> άπό σώματος (Bergk 1838, 324) trova un buon parallelo in Agatho fr. 8
Snell καί μην τά μέν γε χρή τέχνη πράσσειν, τά δέ | ήμϊν άνάγκη καί τύχη
προσγίγνεται. Su μέν γε cfr. anche Collard 2005, 369.
(b) L’avverbio μαλακώς trasmesso al v. 3 deve forse essere emendato sul-
la base delle seguenti considerazioni, ordinate per importanza: dal punto di
vista del significato, έχω μαλακώς (“sto male” in J. AJ 5.132; “sono rilassato”
in Arr. An. 7.12.4) esprime un concetto incompatibile con i termini dei vv.
5-6 del frammento, in particolare con σφρίγει τε βραχιόνων “e col vigore
delle braccia”; a livello di usus, έχω con μαλακώς non ricorre prima dell’età
romana. Inoltre, dal punto di vista metrico, i vv. 3-4 hanno quindici sillabe,
mentre il metro ne richiede solo quattordici. L’emendamento più semplice
per risolvere le difficoltà sollevate da μαλακώς è la correzione in καλώς, ma è
ottimo anche μαλ’ ού κακώς di Hermann (1842, 508), che però pone problemi
metrici e testuali. Apparentemente una corruttela di καλώς in μαλακώς può
suonare strana, ma l’avverbio μαλακώς nel dodicesimo libro di Ateneo trova
cinque occorrenze contro le due di καλώς: non è assurdo pensare a un inter-
vento interpretativo dello scriba dettato dal contesto di citazione (Ath. 12.524f
Αβυδηνοί... άνειμένοι την δίαιτάν είσιν καί κατεαγότες) e dal contenuto ge-
nerale del dodicesimo libro di Ateneo che tratta di τρυφή. Altri casi simili di
corruttela del testo in Ateneo sono discussi in Arnott 2000b, 45.
Hermippos
(a) La stringa τά μέν seguita da έχω con avverbio si legge in A. Ch. 453-454
τά μέν γάρ ούτως έχει | τά δ’ αυτός οργα μαθεΐν, E. Hel. 761 είέν· τά μέν
δή δεύρ’ άεί καλώς έχει. Come mostrano questi paralleli, non è né utile né
necessario postulare una subordinata con έχειν dipendente da un verbo come
δοκέω: cfr. le soluzioni di Hermann 1842, 508; Meineke 1858, 459; Meineke
1867, 240 (con espunzione di άπό σώματος); Kock 1880, 241-242; Kaibel ms. ap.
Kassel-Austin 1986, 588, tutte registrate in apparato. Il passaggio da έχει a έχειν
è forse spiegabile nel testo trasmesso per evitare lo iato tra έχει e άπό σώματος.
Un altro esempio di scambio nei manoscritti tra -ει (terza persona singolare
de presente indicativo) e -ειν (infinito presente attivo) è dato da δικάζει in Ar.
PI. 277: δικάζει è la forma corretta (così solo nel ms. R post correctionem), a
differenza di δικάζειν trasmesso nel resto della tradizione manoscritta.
Il τά μέν del v. 3 non è seguito da un τά δέ (cfr. A. Ch. 453-454) né da altra
forma di coordinazione: la struttura τε... τε dei w. 5-6 coordina i sintagmi
κόμη... νεανική e σφρίγει... βραχιόνων, mentre i vv. 7-8 sono in asindeto
senza necessità di dover supporre cambio di battuta (cfr. infra, Testo v. 7). In
conclusione, il μέν del v. 3 è incettivo (Denniston 1954, 383) perché si trova in
apertura di discorso e rientra nei casi di μέν non seguito da δέ come Ar. Av.
1565-1574.
Il ζγ7 introdotto per ragioni metriche al v. 3 nell’emendamento τά μέν
<γ’> άπό σώματος (Bergk 1838, 324) trova un buon parallelo in Agatho fr. 8
Snell καί μην τά μέν γε χρή τέχνη πράσσειν, τά δέ | ήμϊν άνάγκη καί τύχη
προσγίγνεται. Su μέν γε cfr. anche Collard 2005, 369.
(b) L’avverbio μαλακώς trasmesso al v. 3 deve forse essere emendato sul-
la base delle seguenti considerazioni, ordinate per importanza: dal punto di
vista del significato, έχω μαλακώς (“sto male” in J. AJ 5.132; “sono rilassato”
in Arr. An. 7.12.4) esprime un concetto incompatibile con i termini dei vv.
5-6 del frammento, in particolare con σφρίγει τε βραχιόνων “e col vigore
delle braccia”; a livello di usus, έχω con μαλακώς non ricorre prima dell’età
romana. Inoltre, dal punto di vista metrico, i vv. 3-4 hanno quindici sillabe,
mentre il metro ne richiede solo quattordici. L’emendamento più semplice
per risolvere le difficoltà sollevate da μαλακώς è la correzione in καλώς, ma è
ottimo anche μαλ’ ού κακώς di Hermann (1842, 508), che però pone problemi
metrici e testuali. Apparentemente una corruttela di καλώς in μαλακώς può
suonare strana, ma l’avverbio μαλακώς nel dodicesimo libro di Ateneo trova
cinque occorrenze contro le due di καλώς: non è assurdo pensare a un inter-
vento interpretativo dello scriba dettato dal contesto di citazione (Ath. 12.524f
Αβυδηνοί... άνειμένοι την δίαιτάν είσιν καί κατεαγότες) e dal contenuto ge-
nerale del dodicesimo libro di Ateneo che tratta di τρυφή. Altri casi simili di
corruttela del testo in Ateneo sono discussi in Arnott 2000b, 45.