Αφροδίτης γοναί (Natali di Afrodite)
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mento σκυτάλιον indichi un comune bastone di piccole dimensioni, adatto a
completare il normale abbigliamento maschile.
v. 1 ούκ ές κόρακας τώ χειρ’ άποίσεις έκποδών: L’ingiunzione a tenersi
lontano viene bruscamente espressa dall’imprecazione ές κόρακας (su cui
cf. infra), dall’avverbio εκποδών (lett., «fuori dai piedi»), che con questa va-
lenza è frequentemente usato in commedia (cf, ex. gr., Ar., Ach. 240, 305;
V. 1340; Lys. 909; Ra. 853; Eup. fr. 99.94 K.-A.; e si veda Olson 2002, 141),
e dalla costruzione, in tono interrogativo, di ούκ + l’indicativo futuro, che
in Aristofane non di rado conferisce all’elocuzione una particolare brutalità
espressiva (cf. Lopez Eire 2004, 139-140): tale costruzione, ad es., in Nuvole
789-790, connota il rude modo locutorio con cui Socrate (ricorrendo, peral-
tro, anche all’imprecazione εις κόρακας) congeda Strepsiade dal Pensatoio
(ούκ εις κόρακας άποφθερεϊ, / έπιλησμότατον καί σκαιότατον γερόντιαν;);
e, negli Uccelli, esprime il risoluto monito con cui Pisetero costringe a una
rocambolesca fuga il suo molesto interlocutore (vv. 1466-1467: ού πτερυγιείς
έντευθενί;/ούκ άπολιβάξεις ώ κάκιστ’ άπολούμενος;)27.
ές κόρακας: Frequentissima imprecazione, la cui prima attestazione, allo sta-
to attuale delle nostre conoscenze, è nell’Epodo di Colonia (Archil. fr. 196a.31
West2) e conferma gli stretti rapporti esistenti tra giambografia e commedia
(cf. Degani, in Degani-Burzacchini 1977, 17; Degani 1988, 169-170; 1993a, 25
[= Filologia e storia, 438]). Tra le varie ipotesi eziologiche utili a spiegare questa
locuzione figura in particolare quella relativa a un luogo in cui erano gettati
i corpi dei condannati a morte che, rimasti insepolti, diventavano pasto di
fiere e uccelli rapaci (cf. Tosi 2010, 592-593); e che Κόρακες fosse il nome del
luogo in cui erano abbandonati i corpi ad Atene attesta lo scoliasta aristofa-
neo [ree] ad Pi. 394b α-β Chantry. Numerose sono le occorrenze comiche di
questa imprecazione (per un’ampia elencazione cf, ad es., Belardinelli 1994,
198; Totaro 1998, 186; Nicolosi 2007, 219-220)28; tra esse si segnala un verso
della Pace di Aristofane (v. 1221: άπόφερ’, άπόφερ’ ές κόρακας από τής οικίας),
dove ricorre, come nel frammento nicofonteo, l’uso del verbo (άποφέρω) e
27 Su questa e altre violente intimazioni con cui i personaggi sgraditi ai protagonisti
dei drammi aristofanei sono estromessi dalla scena comica rinvio a Pellegrino 2010,
117-130.
28 La medesima accezione assume il verbo σκορακίζειν anche in altri generi letterari:
cf, ex. gr., D. 11.11; Lue. Rh.Pr. 16; e si veda altresì Did. in D. 11.54-63 (su cui cf.
Osborne 1990, 201-202; e ora Harding 2006, 228); per non dissimili espressioni
proverbiali di natura imprecativa si veda Bùhler 2003, 185-190.
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mento σκυτάλιον indichi un comune bastone di piccole dimensioni, adatto a
completare il normale abbigliamento maschile.
v. 1 ούκ ές κόρακας τώ χειρ’ άποίσεις έκποδών: L’ingiunzione a tenersi
lontano viene bruscamente espressa dall’imprecazione ές κόρακας (su cui
cf. infra), dall’avverbio εκποδών (lett., «fuori dai piedi»), che con questa va-
lenza è frequentemente usato in commedia (cf, ex. gr., Ar., Ach. 240, 305;
V. 1340; Lys. 909; Ra. 853; Eup. fr. 99.94 K.-A.; e si veda Olson 2002, 141),
e dalla costruzione, in tono interrogativo, di ούκ + l’indicativo futuro, che
in Aristofane non di rado conferisce all’elocuzione una particolare brutalità
espressiva (cf. Lopez Eire 2004, 139-140): tale costruzione, ad es., in Nuvole
789-790, connota il rude modo locutorio con cui Socrate (ricorrendo, peral-
tro, anche all’imprecazione εις κόρακας) congeda Strepsiade dal Pensatoio
(ούκ εις κόρακας άποφθερεϊ, / έπιλησμότατον καί σκαιότατον γερόντιαν;);
e, negli Uccelli, esprime il risoluto monito con cui Pisetero costringe a una
rocambolesca fuga il suo molesto interlocutore (vv. 1466-1467: ού πτερυγιείς
έντευθενί;/ούκ άπολιβάξεις ώ κάκιστ’ άπολούμενος;)27.
ές κόρακας: Frequentissima imprecazione, la cui prima attestazione, allo sta-
to attuale delle nostre conoscenze, è nell’Epodo di Colonia (Archil. fr. 196a.31
West2) e conferma gli stretti rapporti esistenti tra giambografia e commedia
(cf. Degani, in Degani-Burzacchini 1977, 17; Degani 1988, 169-170; 1993a, 25
[= Filologia e storia, 438]). Tra le varie ipotesi eziologiche utili a spiegare questa
locuzione figura in particolare quella relativa a un luogo in cui erano gettati
i corpi dei condannati a morte che, rimasti insepolti, diventavano pasto di
fiere e uccelli rapaci (cf. Tosi 2010, 592-593); e che Κόρακες fosse il nome del
luogo in cui erano abbandonati i corpi ad Atene attesta lo scoliasta aristofa-
neo [ree] ad Pi. 394b α-β Chantry. Numerose sono le occorrenze comiche di
questa imprecazione (per un’ampia elencazione cf, ad es., Belardinelli 1994,
198; Totaro 1998, 186; Nicolosi 2007, 219-220)28; tra esse si segnala un verso
della Pace di Aristofane (v. 1221: άπόφερ’, άπόφερ’ ές κόρακας από τής οικίας),
dove ricorre, come nel frammento nicofonteo, l’uso del verbo (άποφέρω) e
27 Su questa e altre violente intimazioni con cui i personaggi sgraditi ai protagonisti
dei drammi aristofanei sono estromessi dalla scena comica rinvio a Pellegrino 2010,
117-130.
28 La medesima accezione assume il verbo σκορακίζειν anche in altri generi letterari:
cf, ex. gr., D. 11.11; Lue. Rh.Pr. 16; e si veda altresì Did. in D. 11.54-63 (su cui cf.
Osborne 1990, 201-202; e ora Harding 2006, 228); per non dissimili espressioni
proverbiali di natura imprecativa si veda Bùhler 2003, 185-190.