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Frammenti

v. 1 νειφέτω μέν άλφίτοις: δυϊΐ’άλφιτον vd., supra, adir. 6.1 Κ.-Α. Per quan-
to concerne l’espressione νειφέτω μέν άλφίτοις, va detto che un’omologa
locuzione ricorre anche in Aristofane (Nu. 965): κεί κριμνώδη κατανείφοι.
Mentre, però, nel passo aristofaneo l’abbondante nevicata è identificata per
via analogica con la farina, nel luogo delle Sirene «farinae (pultis) abundantia
nivi assimulatur» (van Leeuwen 1898, 153; sulla metafora della neve riferita
a contesti di particolare opulenza cf. Pellegrino 2000, 186-187; Delneri 2006,
96-97). È peraltro significativo che nell’Hedypatheia di Archestrato (fr. 4.3-7
Montanari = SH fr. 135.3-7 = fr. 5.3-7 Olson-Sens) la farina d’orzo prodotta a
Ereso sia assimilata per il suo candore alla neve, secondo un’immagine che,
verosimilmente mutuata dall’espressione omerica λευκότεροι χιόνος riferita
ai cavalli di Reso (II. 10.437) e in seguito divenuta proverbiale (cf. Tosi 2010,
1010-1012), designa nell’epos, in commedia e nella poesia gastronomica la
bianchezza degli articoli di panetteria: άλφιτα λευκά è una frequentissima
iunctura omerica (cf, ex. gr, II. 11.640, Od. 10.520,11.28,14.77, h.Ap. 3.491, 509,
h.Merc. 4.554); alla bianchezza della farina d’orzo alludono anche Aristofane
(Pi. 806: λευκών άλφίτων), Ermippo (fr. 25.2: λευκοϊσιν άλφίτοις) e Sopatro
(fr. 3 Κ.-Α.: Ερέτριαν ώρμήθημεν είς λευκάλφιτον); e “più bianchi della neve”
sono i pani di frumento secondo Matrone (SHfr. 534.4-5 = fr. 1.4-5 Olson-Sens:
άρτους.../λευκοτέρους χιόνος): esemplificazioni in Lorenzoni 1978-1979, 293
n. 14; Montanari 1983, 52; Olson-Sens 1999, 78 (e cf. anche Olson-Sens 2000,
28-29).
v. 2 ψακαζέτω δ’ άρτοισιν, ύέτω δ’ έτνει: Sulle piogge di cibo, un motivo to-
pico delle rappresentazioni dei paesi di Cuccagna, cf. Pellegrino 1996,109-115;
2000,121; Farioli 2001,109 n. 202.5η11’άρτος cf., supra, adir. 6.1 Κ.-Α. Ε’έτνος,
il tradizionale purè di fave, piselli o altri legumi sfarinati (cf. Neri 1998,127-128
e n. 33, 131-133; Garcia Soler 2001, 66-68; Olson 2002, 143; Dalby 2003, 49-50),
era una «beliebte Volksspeise» (Rehrenbòck 1985, 204). Questa pietanza, cui
fanno sovente riferimento i commediografi attici (cf, ex. gr., Crates Com. fr.
11.1 K.-A.; Pherecr. fr. 137.8 K.-A.; Ar. Ach. 245-246, Av. 78, Lys. 1061, Ec. 845,
frr. 419, 514 K.-A.; Call.Com. fr. 26 K.-A.; Mnesim. fr. 4.30 K.-A.; ma, secondo
Henderson 1991,145, έτνος in Ar. Ach. 245-246, Lys. 1061, Ec. 845 designerebbe
i secreta muliebria), è l’alimento preferito dall’edace Eracle rappresentato da
Aristofane nelle Rane: invitato da Dioniso a rispondere se abbia mai avuto
voglia di purea, Eracle afferma che da quando è in vita l’ha desiderata decine
di migliaia di volte (έτνους; βαβαιάξ, μυριάκις γ’ έν τώι βίωι: ν. 63); e a Eracle-
Xantia presentatosi alla porta della reggia di Plutone, il servitore di Proserpina
riferisce che la dea, alla notizia del suo arrivo, ha messo sul fuoco due o tre
pentole con passato di legumi (ήψε κατερικτών χύτρας/έτνους δύ’ ή τρεις:
 
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