Überblick
Faksimile
0.5
1 cm
facsimile
Vollansicht
OCR-Volltext
Incertarum fabularum fragmenta (Frammenti anepigrafi)

75

fr. 29 (28 K.)
Fozio (535.18-19 Porson) dà conto dell’occorrenza in Nicofonte di σταφυλήν
(«ugola»), intesa come «la colonna all’interno della bocca» (τον έν τώι στόματι
κίονα). Di questa parte del corpo “a forma di grappolo d’uva”, e somigliante a
una “colonna coperta di vene”, offre una puntuale descrizione Aristotele (HA
I 493a 3-5), il quale peraltro precisa che, se si inumidisce e si infiamma, deter-
mina soffocamento: ε’ίσω 6’ άλλο μόριον σταφυλοφόρον, κίων έπίφλεβος· δς
εάν έξυγρανθείς φλεγμήνηι, σταφυλή καλείται καί πνίγει. Sull’infiammazione
del velopendulo si soffermano anche Ippocrate (Morb. 2.10, voi. VII, 18 Littré)
e Galeno (De tumoribus praeter naturam 17, voi. VII, 731-732 Kuhn): «La déno-
mination métaphorique de cette affection repose sur les sèmes gonflé (“la Inette
se remplit, grossit” [...]), rond (“le bout de la Inette s’arrondit” [...]), rouge (la
Inette s’enflamme)» (Skoda 1988, 249; e cf. anche Tindall 1997, 92).

fr. 30 (29 K.)
Lo scoliasta platonico (ad Ap. 25c, p. 6 Greene = ad Ap. 35 Gufalo; e cf. Sud. ω
260 Adler) attesta l’occorrenza nicofontea di ώ τάν («o cari»), precisando che
l’apostrofe era dal commediografo riferita a più persone: πολλάκις δε καί επί
πλήθους φασί το ώ τάν, ώς παρά Νικοφώντι: nei codici (che peraltro recano la
variante dorica τάν, ma «this was then received into thè language of Athenian
comedy, and in its accent adjusted to ώ τάν»: Szemerényi 1987, 576), in realtà,
si legge Κτησιφώντι; Νικοφώντι è, tuttavia, plausibile correzione di Ruhnken
1789, 282, accolta, tra gli altri, da Szemerényi 1987, 577, da Kassel-Austin PCG
VII, 73, e da Gufalo, 20. Lo scoliasta aristofaneo ([vet] ad Pi. 66b Chantry)
riferisce inoltre che τινές λέγουσιν ότι ού προς ενα μόνον φασί τό “ώ τάν”,
άλλά καί προς δύο: quest’ultimo uso è evidente nel fr. 307.2 K.-A. di Gratino,
in cui il vocativo è seguito dal duale έθελήσετον. Secondo Szemerényi, questa
circostanza confermerebbe che gli Ateniesi non ascrivevano la locuzione al
loro sistema linguistico, ma la interpretavano come una forma indeclinabile,
univoca per i tre diversi numeri: «The Athenians could not see a grammatica!
form fitting into their own System, and therefore could only interpret it as a

offre ampie possibilità di lode» (P. Giannini, in Gentili 1995, 613); sui concetti
antinomici di “lode” (con valore positivo) e “silenzio” (con valore negativo), che si
implicano reciprocamente nei processi di polarizzazione secondo cui si esprime il
pensiero greco arcaico, cf. Frànkel 1997, 640 e n. 19.
 
Annotationen
© Heidelberger Akademie der Wissenschaften