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Phrynichos

p. 94 [in Gaisford 1848, il frammento è però stampato senza punteggiatura];
Meineke FCG ILI, p. 582, Ed.min., p. 229) o dopo ένεργμόν (cfr. Bothe PCGF,
p. 210; Edmonds FACI, p. 454).
Interpretazione Sulla possibilità che la citazione vada ascritta a una teaching-
scene, nel corso della quale prendeva forse forma un dibattito incentrato su
questioni di natura musicale, vd., supra, ad Contenuto.
La menzione del grammatico Eufronio (III a. C.) non è passata inosservata
agli occhi degli studiosi, che non hanno escluso la possibilità che la notizia
eufroniana sia stata desunta da un antico commentario dell’erudito - parti-
colarmente versato nello studio della commedia greca (come peraltro confer-
mano le ben ventisette occorrenze del suo nome negli scoli aristofanei: cfr.
Novembri 2010) - al Konnos di Frinico (così, per es., Dindorf 1838, IV.3, p. 391
n. d; Strecker 1884, pp. 6-7; e vd. ora Trojahn 2002, p. 126 η. 1): è superfluo
dire che, qualora una simile ricostruzione trovasse un qualche riscontro, ne
gioverebbero le nostre conoscenze sulla fortuna (e/o sulla sopravvivenza)
dell’opera del poeta comico nella filologia alessandrina.
τί δαί La locuzione è ben testimoniata sia in prosa (cfr., e.g., Plato Phd.
6le, Grg. 46ld) che nella poesia drammatica (tragica, nel solo Euripide: cfr.
e.g., Eur. Med. 1012, lon 275, e vd. Stevens 1976, pp. 45-46; e comica, dove
ricorre spesso in versi molto brevi ovvero in sequenze sticomitiche: cfr., e.g.,
Pherecr. fr. 98.1; Ar. Eq. 171, 493b, Nu. 491, 656b, 1091, 1275b, Av. 64b, 225c,
fr. 209.1). Si tratta di una formula colloquiale (cfr. LSJ, s.v., p. 365, in cui si
specifica che la particella δαί non è altro che una «colloquiai form of δη»).
Nel presente frammento l’espressione serve a conferire maggiore enfasi alla
domanda: per questo uso di τί δαί cfr. Denniston GP, pp. 262-263; vd. inoltre
Lopez Eire 1996, p. 122.
ένεργμόν Per il sostantivo - un hapax in tutta la letteratura conser-
vata - è nota anche una forma alternativa, ένερξις (oltre ai testimoni del
frammento di Frinico, cfr. Hsch. ε 2927; Ps.-Zonar. p. 716.17). Due sono le
possibili spiegazioni offerte dall’esegesi antica per il vocabolo: si tratterebbe
di un modo di suonare la kithara (κροΰμα κιθαριστικόν: così anche lo Pseudo-
Zonara [p. 716.17], che attinge la notizia dagli Etymologica bizantini; in Hsch.
ε 2927, si parla di un generico κροΰμα μουσικόν, ma il concetto è lo stesso)
ovvero, secondo il grammatico Eufronio (fr. 41 Strecker), del bischero sito in
mezzo alla kithara che serviva a tenere tese le corde (τον έν μέση τή κιθάρα
πασσαλίσκον, δι’ ού ή χορδή διεΐρται: sulla forma della kithara vd. quanto
detto, supra, ad fr. 2.1). Non essendo possibile stabilire la corretta accezione
della lexis nel verso di Frinico, nella mia proposta di traduzione scelgo di
traslitterare il termine, senza darne un’interpretazione precisa: così, fra gli
 
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