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Κωμασταί (fr. 15)

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ricostruiva un più logico εκαεν, che indicasse l’operazione di cottura dei vasi
da parte di Cherestrato. Cinque anni prima di Bergk, lo stesso intervento
veniva prospettato già da Letronne (1833a, p. 607 η. 1 [= 1883, p. 380 n. 2];
1833b, p. 36 η. 0* * * * * * * * 116). Nonostante l’iniziale favore accordato da illustri studiosi,
come Meineke (FCG ILI, p. 586; Ed.min., p. 230) e Bothe (PCGF, p. 212), la
proposta di lettura di Letronne e di Bergk ha incontrato parecchie riserve
nel corso degli studi: non è passata inosservata agli esegeti la mancanza di
attestazioni certe dell’impiego del verbo καίω/κάω (che propriamente vale
“bruciare”) nel significato di “cuocere (vasi)” (operazione che, di norma, si
indica con il verbo όπτάω: «aliud est όπτάν [...] aliud κάειν» annotava infatti
Cobet [1856, p. 182 = 1858, p. 162]);117 inoltre, la lettura εκαεν mal si concilia
con il resto del contenuto del verso: per quale motivo - si domandava, per
es., Kock (CAFI, p. 374) - Frinico avrebbe dovuto scrivere che “Cherestrato
bruciava [i.e. cuoceva] cento boccali di vino al giorno”? «pocula enim multi,
vini pocula nemo umquam figulus fecit», sentenziava Kock (CAFI, p. 374); cfr.
inoltre Edmonds FACI, p. 456 n. 6: «Letr. εκαεν ‘fired’ but a cup of wine is not
thè same as a wine-cup»; infine, è improbabile che, nel frammento, la persona
loquens si limitasse a esaltare le doti lavorative di Cherestrato, presentandolo
come un grande fabbricatore di vasi (“bruciava [i.e. cuoceva] cento boccali di
vino al giorno”): in questo modo, la situazione presentata nei versi - per dirla
con le parole di Bourriot (1995b, p. 368 n. 261) - «ne serait guère comique: il
s’agirait tout au plus d’un record de productivité» o, al massimo, si potrebbe
parlare di un’immagine iperbolica.118

da Kock [CAFI, p. 374], che riferì la forma εκλαεν al verbo κλάω, “rompere”:
«εκλαεν Dindorfius, quod quid sibi velit nescio: nam a κλάω frango inperfectum
formatur εκλων, εκλα»), Completamente sotto silenzio è invece passata la proposta
di emendazione avanzata da Panofka (1829, p. 55), il quale, sul fondamento del
testo del frammento edito da Schweighàuser (vd. saprà), ricostruiva un originario
έκλέαινεν (improbabile forma della 3a persona singolare deH’imperfetto del verbo
έκλεαίνω, “levigare”, successivamente corretta in έξελέαινεν da Letronne 1833a,
p. 607 η. 1 [= 1883, p. 380 n. 2]; 1833b, p. 36 n. 0).
116 Cfr. inoltre Letronne 1849, p. 147 [= 1885, p. 271], in cui lo studioso rivendica la
paternità dell’intervento contro Bergk.
117 Allo stato attuale della ricerca, una simile valenza sembrerebbe cogliersi unicamen-
te in Pi. N. 10.35 (il passo veniva già segnalato da Letronne), nel sintagma γαία [...]
καυθείσα, mediante cui il poeta allude aulicamente a un’anfora: siamo però in un
contesto lirico-metaforico.
118 Così come per nulla ‘comica’ sarebbe l’immagine di un Cherestrato che έπλαττεν
(“plasmava”, “impastava”) cento boccali di vino al giorno, se si segue la correzione
 
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