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Κωμασταί (fr. 15)

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piegato particolarmente nella parodo e nelle sezioni epirrematiche, soprattutto
in quelle della parabasi (cfr. White 1912, p. 99 [ad §§ 245-246]; Kanz 1913,
pp. 49-51). Sul fondamento di questi dati, non sarebbe pertanto insensato
ipotizzare per i versi una provenienza da una delle sezioni appena ricordate.
1 είτα La particella avverbiale είτα ha qui forse valore connettivo (“e
poi...”), piuttosto che temporale, come di frequente in commedia: in merito cfr.
Dover 1968b, p. 84; vd. inoltre Dover 1970, p. 20; Dover 1981, p. 24 [= 1987,
pp. 28-29]. Un simile impiego deve considerarsi tipico della lingua parlata.
κεραμεύων Nell’uso letterario il verbo - un denominale da κεραμεύς
(“vasaio”; cfr. LSJ, s. v., p. 940: «potter») - può avere un valore transitivo (“fab-
bricare” e, in senso figurato, “impastare (qualcosa in argilla)”; cfr. LSJ, s. v. [1.2],
p. 940: «make») ovvero può essere impiegato intransitivamente nell’accezione
di “fare il vasaio”, “lavorare come vasaio” (cfr. LSJ, s.v. [1.1], p. 940: «io be a
potter»). Un significato, quest’ultimo, che, secondo i moderni esegeti, sarebbe
da individuarsi nel presente contesto. Un possibile senso traslato per κεραμεύω
ricostruiva Dobree (Adv. II, p. 332), che suggeriva di rendere il verbo con « ma-
chinari», come, per es., nei vv. 252-253 delle Ecclesiazuse di Aristofane, dove
il demagogo Cefalo (LGPN11, s. v. [5], p. 258; PAA 566650), proprietario di una
fabbrica di ceramica, viene paragonato a un κεραμεύς incapace di “impastare” i
suoi vasi (καί τα τρύβλια / κακώς κεραμεύειν), ma abilissimo nel “manipolare”
gli affari pubblici (τήν δε πόλιν εύ καί καλώς, scil. κεραμεύειν): l’immagine è
spiegata dallo schol. [RA] Ar. Ec. 253: κεραμεύειν, αντί τού κατεργάζεσθαι [...]
ελεγον δε κεραμεύειν καί το κακώς ποιεΐν τα κοινά; sul passo aristofaneo cfr.
Vetta 1989, p. 170; sul valore del verbo κεραμεύω nel contesto delle Ecclesiazuse
vd. inoltre Taillardat 1965, p. 382 [ad § 670],
οίκοι L’avverbio locativo οϊκοι (“in casa”; cfr. LSJ, s. v., p. 1204: «at home»,
«in thè house») è piuttosto comune nell’Attico di V-IV secolo, sia nei testi in
prosa che in poesia: per la commedia cfr., e.g., Ar. Eq. 753, Pax 1179, 1189, Av.
1027, Lys. 217-218, 729, 736, Ec. 464, 668b; Antiph. fr. 2.2; Eub. fr. 60.2; Com.
Adesp. fr. *140.1.
σωφρόνως Collocato subito dopo la dieresi mediana (in posizione enfati-
ca nel verso), l’avverbio modale è stato messo in relazione dalla quasi totalità
degli esegeti con il participio κεραμεύων e, quindi, tradotto con termini ovvero
locuzioni indicanti la maestria,120 l’accortezza e/o l’assiduità121 ovvero la so-

120 Cfr., e.g., Conti 1556, p. 597b: «composite»; Bothe PCGF, p. 212: «sapienter».
121 Cfr., e.g., Letronne 1833a, p. 607 n. 1 [= 1883, p. 380 n. 2], Letronne 1833b, p. 36 n.
0: «assidùment», «avec assiduité»; Yonge II, p. 755: «with modest zeal»; Edmonds
FACI, 457: «hard»; Friedrich IV, p. 33: «mit Bedacht».
 
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