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Phrynichos

Μονότροπος II nome del personaggio eponimo del dramma è collocato
dopo la cesura pentemimere, in posizione enfatica. Spiegato come sinonimo
di μόνος τραφείς dai lessici bizantini (cfr. Σ μ 261 [= An.Bachm. I, p. 303.12]
= Phot, μ 525 = Suid. μ 1237; vd. inoltre Hsch. μ 1636: μονότροπος· μόνος {σ}
τραφείς), l’aggettivo μονότροπος ricorre per la prima volta in letteratura al
v. 281 dell’Andromaca di Euripide (il dramma fu portato in scena tra il 430
e il 421 a. C., forse intorno al 425 a. C.: così ritengono, per es., Stevens 1971,
pp. 15-19; Lloyd 1994, pp. 11-12), in cui serve a qualificare il “giovane pastore”
(βοτήρα [...] νεανίαν) Paride. In commedia il vocabolo è attestato, oltre che
in questo passo, in Men. Asp. 121, nella locuzione ζη μονότροπος, mediante
cui Tyche, nel prologo ‘ritardato’ del dramma, descrive il modus vivendi del
vecchio Smicrine (per un’esegesi del sintagma nel citato luogo deWAspis di
Menandro vd. ora Ingrosso 2010, pp. 198-199 [ad Asp. 125]).
2 ζώ ... Τίμωνος βίον L’espressione ζώ + accusativo dell’oggetto in-
terno, βίον + genetivus attributivus (“vivere la vita di...”) è piuttosto comune
in greco (cfr., e.g., Soph. fr. 583.4; Eur. fr. 1075.2; Ar. Av. 161; Apollod.Car. fr.
5.15-16; Com.Adesp. fr. 1093.76; Dem. 18. 263; Lue. Tim. 33; Plb. XVI. 24. 5,
XXXVI. 15. 6), anche in frasi proverbiali (cfr. Lue. Soma. 9: λαγώ βίον ζην;
Diogenian. 3. 14 [= CPG I, p. 216.5]: αύλητου βίον ζην); vd. Eust. Logos Γ
3.92 (= p. 54 Wirth): κείσθω, μη καί βίον κίνδυνος ε’ίη ζην Τίμωνος. Ben te-
stimoniata è la costruzione ζώ + βίον, senza il genitivo, in uso già nell’epica
omerica (cfr. Od. XV.491) e con diverse occorrenze nella poesia drammatica,
sia tragica (cfr., e.g., Soph. El. 599; Eur. Med. 248-249, fr. 684.4-5 [vd. inoltre IA
923: διαζήν τον βίον]) che comica (cfr., e.g., Ar. V. 506; Antiph. frr. 100.1,185.3;
Philetaer. fr. 7.2; Men. Dysc. 603, Mis. 533-534, frr. 299.5, 508.10; Philem. frr.
96.7, 178.5; Bato fr. 3.5; Athenio fr. 1.7-8). Non mancano infine esempi relativi
all’impiego della figura etimologica βίον βιούν: cfr., e.g., Plato La. 188a.
Τίμωνος Le prime menzioni di questa figura si registrano nel passo
in questione e negli Uccelli di Aristofane, nella scena (vv. 1494-1552) in cui
Prometeo si presenta da Pisetero, per informarlo, in nome della sua benevo-
lenza verso il genere umano e del suo ancestrale odio nei confronti degli dèi
(un aspetto, quest’ultimo, che fa del titano “un vero Timone”, Τίμων καθαρός:
v. 1549), del caos che regna nellOlimpo in seguito alla fondazione della città di
Nubicuculia. A distanza di pochi anni, è ancora Aristofane a far risuonare sulle
scene ateniesi il nome di Timone: nei vv. 805-820 della Lisistrata (411 a. C.), il
semicoro di vecchie intona ηη’ώδή - in responsione con il canto strofico del
semicoro di vecchi, incentrato sul personaggio mitologico di Melanione (vv.
781-796) - in cui Timone è descritto, in termini favolistici (cfr. l’impiego del
sostantivo μύθος al v. 806), come “un vagabondo, che aveva il volto coperto da
spini inaccessibili, un figlio delle Erinni. Dunque, questo Timone, disgustato,
 
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