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Phrynichos

τέταρτος};155 e vd. la disposizione dei w. 3-4 prospettata da Edmonds (FAC
I, p. 458: άνωμάλους είπας πιθήκους, {ών} ό μέν / δειλός γ’, ό δε νόθος, ό δε
κόλαξ, {ό δε ξένος}: l’ordine degli epiteti viene mutato per esigenze metriche),
che rende non necessaria la postulazione dell’esistenza di un ulteriore trimetro
dopo il v. 4. Decisamente improbabile il tentativo di lettura di Muhl (1881,
p. 92), che, oltretutto, non risolve le difficoltà metriche del v. 4: ό μέν γέ δειλός,
ό δε κόλαξ, ό δέ νόθος / ό δ’ αΰ φέναξ (l’epiteto restaurato da Muhl andrebbe
riferito a Telea; per lo studioso, Pisandro sarebbe il δειλός, Licone [il padre di
Autolico: vd., supra] il κόλαξ ed Essecestide il νόθος). S.D. Olson mi suggerisce
la possibilità che nell’ultimo verso sia contenuto un «joke», per cui «A will be
unable to teli who B is referring to with each of these adjectives, and they will
then be connected with thè names above in what follows in a surprising way»:
qualora si accordasse fiducia alla proposta esegetica di Olson, non sarebbe
affatto necessario postulare l’esistenza di un quarto epiteto venuto meno nel
corso della tradizione.
La distribuzione delle parti adottata dagli ultimi editori del frammento
risale a Meineke (FCG ILI, p. 568156). Una diversa sistemazione veniva invece
prospettata da Bergk (1838, p. 373), il quale poneva un primo cambio di battuta
(con antilabe) al v. 1, dopo πιθήκους ((A.) Μεγάλους πιθήκους. (B.) Οίδ’ ετέρους
τινάς λέγειν), e un secondo cambio (con due antilabai) al v. 3 ((A.) Ανωμάλους
είπας πιθήκους. {(B.) Πώς; (A.) 'Όπως;}). Prima di Bergk, una ripartizione
del v. 3 fra più interlocutori ipotizzava anche Bothe (1829, p. 10 [ad Av. 11];
1845b, p. 241 [ad Av. 11]: (B.) {συ δ’} άνομάλους είπας πιθήκους. {(A.) τί δ’;
(Β.) ότιή}), ma la sua ricostruzione era inficiata dall’errata lettura del verso
offerta da Musuro neW Aldina.157 Una vera e propria riscrittura del frammento

155 Una versione modificata della ratio supplendi di Meineke proponeva Blaydes (Adv.
I, p. 44, Adv. Π, p. 52): ό δέ {γε} νόθος, κτλ.; ritornando in seconda battuta sulla
sua integrazione, Meineke (FCG ILI, p. 589; cfr. Meineke Ed.min., p. 231) suggerì
di leggere: {έσθ’,} ό δέ νόθος, / {ξένος δ’ ό τέταρτος}. Quest’ultimo intervento è
ritenuto inferiore da Bothe (PCGF, p. 213).
156 Vale la pena ricordare che già in Meineke 1826, p. 30 n. * era ipotizzata una par-
tizione del frammento tra due interlocutori: «Μεγάλους πιθήκους οίδ’ ετέρους
τινάς λέγειν, Λυκέαν, Τελέαν, Πείσανδρον, Έξηκεστίδην. Quibus alter interlocutor
respondet: Άλλ’ άνομάλους είπας πιθήκους, νή Δία. 'Ο μέν γε δειλός, ό δέ κόλαξ,
ό δ’ αύ νόθος, ξένος δ’ ό τέταρτος»; sulla lettura άνομάλους, accolta a testo da
Meineke, vd. nota successiva.
157 Nell’ Aldina Musuro stampava a testo άνομάλους; tale lectio nihili era accolta come
fededegna da Meineke (1826, 30 n. *) e da Bothe (1829, p. 10 [ad Av. 11]; 1845b,
p. 241 [ad Av. 11]), i quali, metri causa, erano tuttavia costretti a emendare il v. 3
nei seguenti modi: {άλλ’} άνομάλους είπας πιθήκους, {νή Δία} (Meineke); {σύ
 
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