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Μοϋσαι (fr. 35)

215

Testo Nella forma in cui è tramandato, questo verso - un tetrametro ana-
pestico catalettico - risulta privo di un piede. Gli studiosi si sono mostrati
concordi nel ritenere che il guasto testuale riguardi il secondo metron: in
questo punto, il codice C, recensito da G. Jungermann (1577-1610) e utiliz-
zato per la costituzione del testo di Polluce soltanto a partire dall’edizione
di Lederlin e di Hemsterhuys del 1706, ha χρεϊσθαι. Si tratta di una lectio
nihili, che Jungermann (ap. Lederlin/Hemsterhuys 1706, p. 1257 n. 30) sug-
geriva di emendare in χρήσθαι,244 ipotizzando forse uno scambio fonetico
tra <q> ed <ει> intercorso nella tradizione manoscritta.245 La diortosi, se da
un lato consentiva di risolvere i problemi di lettura legati alla lectio codicis
χρεϊσθαι, dall’altro non apportava alcun miglioramento relativamente alle
difficoltà metriche del passo (tant’è vero che l’intervento era accolto a testo
da Lederlin e Hemsterhuys, ma il frammento era edito prosasticamente).
Prendendo le mosse daU’infinito χρήσθαι ricostruito da Jungermann e sulla
base del confronto con la forma univerbata χρήσται (χρή + έσται) attestata
in Soph. OC 5 0 4246 e impiegata da «Pherecrates aliique poetae comici»,247
Meineke (FCG Π.1, p. 594) restituiva a Frinico l’espressione χρήσται (μάττειν^
(analoga diortosi prospettava anche Bothe PCGF, p. 215); in Ed.min., p. 233, la
correzione fu quindi modificata in χρήσται <μάττειν). Un originario χρήσται
ricostruiva inoltre Blaydes (Adv. II, p. 53) e da esso faceva dipendere l’infinito
βάλλειν «βάλλειν} χρήσται). Edmonds (FAC I, p. 462) suggeriva invece di
integrare l’infinitiva σε χέαι (ovvero il semplice infinito χωρείν, da intendersi
come sinonimo di «be room for»: cfr. FACI, p. 462 n. 2) subito dopo la forma
verbale χρήσται. Il solo G. Kaibel (ap. PCG VII, p. 411) proponeva infine di
leggere χρή <->σθαι, presupponendo cioè la caduta della parte iniziale

244 Nella stessa nota, si dà conto anche dell’apporto critico di J. Kuhn (1647-1697),
che proponeva di leggere, metro incerto e con pesanti interventi sul testo tràdito,
l’intero frammento come καν όξύβαφον χρήσαι ή χοίνικας δυ’ αλεύρων. Del tutto
incongruente con il contenuto del verso è invece la diortosi suggerita da Bentley
1708 (p. 281): χρίεσθαι <-> (da χρίω, “ungere”).
245 Un analogo errore di itacismo si incontra, per es., in Àet. I. 241.21 (= CMG Vili. 1,
p. 101.21 Olivieri), in cui, come rileva l’editore, il χρεϊσθαι della paradosis andrebbe
corretto in χρήσθαι; cfr. inoltre Et.Gud. p. 569.26, dove la voce χρεϊσθαι è citata
insieme con χράσθαι - per cui cfr., e.g., Hdt. I. 21. 2, 47. 1, 99. 1 - come forma
alternativa dell’infinito di χράομαι.
246 Così la ‘prima mano’ del Laurenziano e cfr. inoltre lo schol. [L] Soph. OC. 504
de Marco; tale lezione è accolta in textu dagli ultimi editori di Sofocle, ma vd. le
notazioni di Schwyzer (I, p. 402) e di Radt (TrGFIV2, p. 448 [ad fr. 599]).
247 Lo studioso faceva riferimento - presumibilmente - a Pherecr. fr. 108 e ad Ar. fr.
377: vd. tuttavia le notazioni di Kassel/ Austin (ad locc.).
 
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