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216

Phrynichos

di un verbo aH’infinito (medio-passivo) e il successivo accorpamento della
desinenza -σθοη al verbo reggente χρή (per cui dall’esito χρήσθαι si sarebbe
poi prodotta, per corruttela, la lectio codicis χρεισθαι).
Interpretazione Per quanto il senso complessivo del frammento sia inficiato
dal guasto testuale che interessa il verbo (principale?), merita sicuramente
attenzione l’espressione τρεις χοίνικας ή δύ’ άλεύρων: due ο addirittura tre
chènici di farina rappresentavano una quantità a dir poco spropositata per
gli standard di consumo di quinto secolo, se è vera la notizia, tramandata da
diverse fonti, che una chènice di farina corrispondeva alla razione minima
giornaliera per il sostentamento di una persona (cfr. Hdt. VII. 187.2; Diog.
Laert. Vili. 18) e, in genere, veniva assegnata agli schiavi (cfr. Th. IV. 16. 1;
Ar. V. 440; vd. anche Athen. VI. p. 272b-c). La genericità dell’espressione (“due
o tre chènici”) unitamente al fatto che tale dose spropositata di farina venga
rapportata a una scodella (όξυβάφω) dalle dimensioni (e dalla capacità) più
che modeste (vd. infra), ha indotto Edmonds (FACI, p. 463 n. a) a ritenere che
il frammento contenga un’espressione iperbolico-metaforica, per mezzo di cui
la persona loquens starebbe indicando che qualcuno (un personaggio scenico o
una figura citata en passanti) «will be attempting thè impossible».248
Interessante è inoltre lo schema metrico del verso. NellAristofane conser-
vato per intero, il tetrametro anapestico catalettico (noto, in antico, anche con
il nome di ‘aristofaneo’, per il largo impiego che ne fece il poeta comico: cfr.
Heph. Ench. 8. 2) ricorre soprattutto nella parabasi249 e nell’agone epirrema-
tico250: su queste basi, non pare dunque insensato ipotizzare una provenienza
del frammento da una delle sezioni drammatiche appena ricordate.

248 Merita senz’altro di essere segnalato che la medesima immagine iperbolica delle
tre chènici di farina ricorre anche in Ar. Ec. 424 (per la cui esegesi vd. Vetta 1989,
p. 187); cfr. inoltre Ar. fr. 481, dal Proagon (ó δ’ άλφίτων { ) πριάμενος τρεις
χοίνικας / κοτύλης δεούσας έκτέα λογίζεται). Sull’uso della figura retorica dell’i¬
perbole nella produzione superstite dei commediografi di quinto secolo si rimanda
al recente contributo di Rodriguez-Noriega Guillén (2012).
249 A volte nel kommàtion: cfr. Ach. 626-627, Pax 729-732; regolarmente nello άπλούν:
cfr. Ach. 628-658, Eq. 507-546, V. 1015-1050, Pax 734-764, Av. 685-722, Ih. 786-813:
in merito vd. White 1912, p. 122 n. 3 [ad § 305]; Martinelli 1995, p. 154 nn. 1-2.
250 Nel katakeleusmós e nell’epirrema degli agoni eteroritmici (agone II dei Cavalieri
[cfr. vv. 761-762, 763-783] e agone I delle Nuvole [cfr. vv. 959-960, 961-1008]), che
hanno antikatakeleusmós ed antepirrema in tetrametri giambici catalettici (viceversa
nell’agone delle Rane [cfr. vv. 1004-1005,1006-1076]); nei katakeleusmoi ed antika-
takeleusmoi e negli epirremi ed antepirremi degli agoni isoritmici di Vespe (cfr. vv.
546-547 ~ 648-649, 548-620 ~ 650-718; il verso è adoperato anche nella sphraghis:
 
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