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Μούσαι (fr. 36)

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ancora compiuto il primo anno di vita; il dato trova conferma anche in Plinio
il vecchio (Mi IX. 47: Thynni [...] intrant e magno mari Pontum verno tempore
gregatim, nec alibi fetificant. Cordyla appellatur partus, qui fetas redeuntes in
mare autumno comitatur; limosae vero aut e luto pelamydes incipiunt vocari
et, cum annuum excessere tempus, thynni-, una differente descrizione del ciclo
biologico del tonno è invece offerta da Sostrato, medico e zoologo alessandrino
vissuto nel I secolo a. C. [fr. 12 Wellmann, ap. Athen. VII. p. 303b], il quale
stabilisce un rapporto d’identità tra la πηλαμύς e la θυννίς: in merito vd. però
le notazioni di A. Marchiori, in: Ateneo Π, p. 729 n. 2).
Contrariamente alla dottrina aristotelica, i moderni ittiologi (cfr., e.g., Keller
II, pp. 384-386; Stròmberg 1943, pp. 79-81; Thompson 1947, s.v. Πηλαμύς,
pp. 197-198; Garcia Soler 2001, p. 173; Dalby 2003, p. 336) propendono per
l’identificazione della πηλαμύς con l’odierna palamita (o tonnetto, Sarda sarda
Bloch),251 un pesce pelagico della famiglia degli Sgombridi, il cui aspetto, non
molto dissimile da quello del tonno (poche sono le sostanziali differenze, per
cui vd. Thompson 1947, s.v., p. 198), potrebbe averne reso diffìcile, in antico,
il riconoscimento come specie ittica distinta. Secondo l’opinione del medico
dietetico Difìlo di Sifno (ΠΙ secolo a. C.), della πηλαμύς era apprezzata la carne,
soprattutto se servita sotto sale, per via delle sue particolari qualità digestive (fr.
5 Garcia Làzaro [= Athen. Vili. p. 356f]; vd. inoltre Athen. III. pp. 118a, 120f). La
notizia trova conferma anche in Xenocr. p. 131.35-36 Ideler; cfr. inoltre Galen.
De alimentorum facultatibusìll. 30. 4-5 (= CMG V.4.2, p. 373.7-20 Helmreich).
Il nome πηλαμύς deriverebbe, secondo un’etimologia popolare, dal so-
stantivo πηλός (“melma”, “fango”), per l’abitudine di questo pesce a vivere in
fondali sabbiosi: sull’argomento cfr. Stròmberg 1943, pp. 79-80. Quanto alla
grafia πηλαμίς, attestata in autori tardi, quali, per es., Àet. II. 143.3, 241.9 (=
CMG Vili. 1, pp. 205.21, 240.1 Olivieri), Orib. Ine. I. 19.4 (= CMG V.3, p. 334.26
Ràder), essa deve con ogni probabilità ritenersi frutto di un errore di pronuncia
della forma corretta πηλαμύς: un’eco della discussione grammaticale circa
la corretta grafia del nome di tale specie ittica è contenuta in Hsch. π 2177:
πηλαμύς· διά του υ (= Phot, π 853) ιχθύς έν Πόντω. Sul legame tra la πηλαμύς
e il Ponto Eusino, oltre alla già citata sezione del VI libro delle Ricerche sugli
animali di Aristotele, cfr. Arisi. HA V. 543b.2, fr. 320 Gigon; Opp. H. IV.504-508;
Plin. NHIX. 47; vd. inoltre Soph. fr. 503 (con le notazioni di Pearson [Π, p. 153]).

251 Più fedele alla dottrina dello Stagirita si mostra invece Battiate (2012, s. v. Pelamys,
p. 19), che identifica la πηλαμύς con il «giovane tonno rosso di primavera»
(Thunnus thynnus thynnus L.).
 
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