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Phrynichos

con n. 58), che, proprio sul fondamento del passo di Frinico, di Ar. Pax 1032,
Ra. 12-15, 497, 521, di Eup. fr. 385.5 e di Plato Com. fr. 71,266 ha sostenuto che
«as in Greek life [...] carrier Services on stage are characteristically a slave’s
domain».
Forse, però, è possibile aggiungere qualcos’altro circa l’identità di B: in
tal senso, particolarmente interessante risulta - a mio avviso - il contenuto
dell’ordine espresso al v. 2 (“pulisci/ramazza bene in casa”: τάνδον άνακάλ-
λυνον), che sembra richiamare alla mente un motivo drammatico del teatro

266 Qui di seguito riporto il testo dei passi citati da Revermann a sostegno della sua
ricostruzione: Ar. Pax 1032: καί την τράπεζαν ο’ίσομαι, καί παιδός ού δεήσει (“e
andrò io a prendere la tavola, senza aver bisogno di un servo”: a parlare è Trigeo),
Ra. 12-15 (= T 9d), 497: έγώ δ’ έσομαί σοι σκευοφόρος έν τώ μέρει (“allora sarò
10 a portare il bagaglio al posto tuo”: così Dioniso si rivolge a Santia), 521: ó παίς,
άκολούθει δεύρο τα σκεύη φέρων (“tu, ragazzo, seguimi col bagaglio”: così Santia
si rivolge al servo di Ade ovvero di Persefone); Eup. fr. 385.5: είέν τίς είπεν “άμίδα
παΐ” πρώτος μεταξύ πίνων; (“Bene! Chi fu il primo a dire nel mezzo di una bevuta
‘servo, un pitale’?”; si potrebbe anche aggiungere il fr. 167, dai Kolakes: τουτί λαβών
το κόρημα την αύλήν κόρει (“prendi questa scopa e spazza il cortile”]; in merito
vd. le osservazioni di Napolitano [2012, pp. 93-94]); Plato Com. fr. 71, dai Lakònes
ovvero Poiétai: (A.) άνδρες δεδειπνήκασιν ήδη; (B.) σχεδόν άπαντες. (A.) εύ γε· / τί
ού τρέχων <σύ> τάς τραπέζας εκφέρεις; έγώ δέ / νίπτρον παραχέων έρχομαι. (Β.)
κάγώ δέ παρακορήσων. / (Α.) σπονδάς δ’ έπειτα παραχέας τον κότταβον παροί-
σω. / τή παιδί τούς αυλούς έχρήν ήδη προ χειρός είναι / καί προαναφυσάν. τό
μύρον ήδη παραχέω βαδίζων / Αιγύπτιον κατ’ ΐρινον- στέφανον δ’ έπειθ’ έκά-
στω / δώσω φέρων τών ξυμποτών. νεοκράτά τις ποιείτω. / (Β.) καί δή κέκραται.
(Α.) τον λιβανωτόν έπιτιθείς Ιείπε]· *** σπονδή μεν ήδη γέγονε καί πίνοντές είσι
πόρρω, / καί σκόλιον ήσται, κότταβος δ’ έξοίχεται θύραζε. / αύλούς δ’ έχουσά
τις κορίσκη Καρικόν μέλος <τι]> / μελίζεται τοϊς συμπόταις, κάλλην τρίγωνον
είδον / έχουσαν, είτ’ ήδεν προς αύτό μέλος Ιωνικόν τι (“(A.) I signori hanno già
finito di mangiare? (B.) Quasi tutti. (A.) Bene! / Perché non corri a portar fuori le
tavole? Io invece / andrò a prendere l’acqua (per lavare le mani). (B.) Ed io la scopa
per spazzare. / (A.) E poi, dopo aver versato le libagioni, porterò l’occorrente per
11 cottabo. / La ragazza dovrebbe avere già gli auloi a portata di mano, / caldi di
fiato. Ora vado a versare il profumo / egizio e, poi, quello di iris; dopodiché, porterò
una corona / da dare a ciascun convitato. Qualcuno prepari un cratere di vino e
acqua. / (B.) È stato già miscelato. (A.) Dopo aver messo l’incenso sull’altare ψ...|
*** La libagione è già finita / e bevono da un pezzo, ed è stato cantato uno scolio;
l’attrezzatura per il cottabo viene portata fuori dalla porta. / Una fanciulla esegue
con gli auloi (una} melodia caria / davanti ai convitati, e ne ho vista un’altra
che, / con un trigono, cantava una canzoncina ionica”; il frammento conserva parte
di una sequenza dialogica tra due - o, forse, tre - servi: in merito vd. Olson 2007,
pp. 299-301 [adHi]; Pirrotta 2009, pp. 171-175).
 
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