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Ποάστριαι (fr. 39)

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euripideo, in cui, non di rado, l’atto del “ramazzare” rappresenta un momento
scenico reale267 ovvero una situazione ‘futuribile’ immaginata e/o aborrita
dall’eroina di turno268, costretta, in seguito a una degradatio strettamente
connessa alla vicenda scenica, a svolgere compiti servili (del resto, già nella
società omerica il “ramazzare” è un’attività propria del rango servile: cfr. Od.
XX. 149). Alla luce di ciò, mi domando allora se, nel frammento in questione,
dietro B non possa celarsi una qualche eroina tragica (se non piuttosto euripi-
dea), che Frinico sceglieva forse di presentare - per ragioni che non ci è dato
sapere - nei panni di una “sguattera”.
Merita infine di essere segnalato che, secondo l’opinione di Theodoridis
(1982, p. 155), nella iunctura δουλικώς ένσκευασμένος attestata in Phot. Hom.
3. 3 (= p. 35.30 Laourdas) andrebbe riconosciuta una possibile ripresa da Frinico.
1 σύ Collocato in incipit di verso, il pronome personale ha nel frammen-
to una funzione specificamente allocutiva, enfatizzata dal suo impiego combi-
nato con i due imperativi aoristi ένσκεύασαι (v. 1) e άνακάλλυνον (v. 2): per
la sintassi - che sembra appartenere allo stile colloquiale - σύ + imperativo si
rimanda a Bo 1962, p. 91; Zangrando 1997, p. 206; vd. inoltre Setti 1884, p. 120.
είσιοΰσα II composto εϊσειμι (“entrare”, “andare dentro”; cfr. LSJ, s. v. [I],
p. 494: «enter», «go into») è impiegato nel verso in senso assoluto, come, per
es., in Pherecr. fr. 105.2 (con Urios-Aparisi 1992, p. 310); Ar. Ach. 202, Nu. 125
(cfr. lo schol. [E] Ar. Nu. 125b: εϊσειμι] εις την οικίαν), 498, V. 177, Ραχ 49, 288,
1219 (ενεγκε τοίνυν είσιών τάς ίσχάδας: la sintassi ricorda molto quella del
frammento di Frinico), 1296, Lys. 867, Ra. 512, 812, 981, PI. 249, 1091, fr. 257.1,
e, analogamente ai passi citati, significa “entrare in un luogo”, solitamente in
casa (vd. la forma univerbata τάνδον al v. 2): sul verbo e sul suo significato cfr.
Rennie 1909, pp. 122-123 [ad Ach. 202],
δουλικώς In posizione enfatica nel verso (dopo la cesura pentemimere),
l’avverbio modale δουλικώς (“servilmente”, “in maniera servile”), formato
sulla base dell’aggettivo δουλικός (“servile”; sugli aggettivi in -ικός e sul loro
impiego nella commedia attica di quinto secolo vd., supra, ad fr. 17), va messo
in relazione (e, quindi, tradotto) con il successivo imperativo ένσκεύασαι: con
«make yourself a slave-girl» rende il sintagma Edmonds (FACI, p. 463); «dress

267 Cfr. Eur. Andr. 166: (δει σε) σαίρειν [...] δώμα τούμόν (con queste parole Ermione
si rivolge ad Andromaca, divenuta sua schiava), fr. 752f. 15-18, dalla Hypsipylè:
τί σύ παρά προθύροις, φίλα; / πάτερα δώματος εισόδους / σαίρει[ς], ή δρόσον
έπί πέδω / βάλλεις οίά τε δούλα; (così il coro di donne Nemee descrive la misera
condizione servile cui è costretta Ipsipile).
268 Cfr. Eur. Hec. 363: (μ’ άναγκάσει) σαίρειν [...] δώμα (Polissena sta immaginando
la sua futura vita da schiava).
 
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