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Phrynichos
yourself up as a slave» è invece la traduzione offerta da Storey (FOCIII, p. 67).
Allo stato attuale della ricerca, le più antiche attestazioni del vocabolo sono
in Frinico e in X. Oec. 10. 10.
ένσκεύασαι Si tratta di una 2a persona singolare deH’imperativo aoristo
medio di ένσκευάζω. Raro nella prosa di V-IV secolo (cfr. Hdt. EX. 22. 2; X. Cyr.
Vili. 5. 11; Plato Cri. 53d) e del tutto assente nella poesia tragica, tale composto
verbale ricorre in commedia, oltre che in Frinico, anche in Aristofane (Ach.
384, 436, 1096, Ra. 523 [il v. 436 degli Acarnesi viene espunto da alcuni editori:
cfr. Olson 2002, pp. 25, 188-189]) e, più tardi, in Menandro (fr. 504). In Ach. 384
e Ra. 523 il verbo rappresenta un tecnicismo mediante cui Aristofane indica
l’atto della vestizione scenica da parte delFattore/personaggio drammatico
(Diceopoli che si accinge a indossare i panni cenciosi di Telefo nel passo degli
Acarnesi; Santia che veste gli indumenti caratteristici di Eracle nelle Rane): alla
luce di tali esempi, viene da chiedersi se, anche nel presente contesto comico,
per il vocabolo non possa essere supposta la medesima valenza tecnica.
2 τάνδον Crasi per τά ένδον. Tale forma univerbata, variamente atte-
stata in tragedia (cfr., e.g., Soph. Tr. 334; Eur. Hec. 1017, El. 76, 422, 1037, IT
726, Or. 928, 1514, fr. 790.1) e, con meno frequenza, in commedia (cfr. Ar. Lys.
495; Men. Dysc. 455, Sam. 197, 414 [τάνδον], 613, Phasm. 60; cfr. inoltre Sophr.
*73.1), vale qui “ciò che sta dentro”, con riferimento nello specifico aH’interno
di un edificio, “in casa”.
άνακάλλυνον Glossato da Frinico atticista (PS, p. 22.10) e da Fozio (a
1511) con σαίρω (“ramazzare”), il verbo άνακαλλύνω, al pari del semplice
καλλύνω (che la tradizione lessicografica spiega come sinonimo di verbi
afferenti alla sfera semantica del “pulire” e del “ramazzare”, come, per es.,
κοσμέω, σαρόω, κορέω e σαίρω) e del deverbativo κάλλυντρον (“scopa”),
appartiene etimologicamente alla famiglia dei derivati di καλός (“bello”) e
di κάλλος (“bellezza”). Per quello che è noto, ricorre in letteratura soltanto
in questo passo e, più tardi, in Cyrill., MPG LXIX, p. 676.45 Migne (dove vale
“restituire la bellezza a”: cfr. DGE II, s.v. [1], p. 2). Sul fondamento deìYinter-
pretamentum di Frinico e di Fozio, tale composto viene generalmente reso
nei lessici moderni con espressioni quali “pulire”, “ramazzare” e simili (cfr.,
e.g., ThGL' II, s.v, p. 396d: «verro»; DGEII, s.v. [1], p. 242: «barrer»; G/, s.v,
p. 218: «pulire», «spazzare»). Tali traduzioni non rendono però giustizia al
prefisso ava-, che, nel presente contesto, ha probabilmente valore intensivo:
“pulire bene, a fondo” (cfr., e.g., le traduzioni del composto verbale offerte da
LSJ [s.v. άνακαλλύνω, p. 107] e da Storey [FOC III, p. 67]: «sweep up»; vd.
inoltre Edmonds FACI, p. 463: «tidy up»).
Phrynichos
yourself up as a slave» è invece la traduzione offerta da Storey (FOCIII, p. 67).
Allo stato attuale della ricerca, le più antiche attestazioni del vocabolo sono
in Frinico e in X. Oec. 10. 10.
ένσκεύασαι Si tratta di una 2a persona singolare deH’imperativo aoristo
medio di ένσκευάζω. Raro nella prosa di V-IV secolo (cfr. Hdt. EX. 22. 2; X. Cyr.
Vili. 5. 11; Plato Cri. 53d) e del tutto assente nella poesia tragica, tale composto
verbale ricorre in commedia, oltre che in Frinico, anche in Aristofane (Ach.
384, 436, 1096, Ra. 523 [il v. 436 degli Acarnesi viene espunto da alcuni editori:
cfr. Olson 2002, pp. 25, 188-189]) e, più tardi, in Menandro (fr. 504). In Ach. 384
e Ra. 523 il verbo rappresenta un tecnicismo mediante cui Aristofane indica
l’atto della vestizione scenica da parte delFattore/personaggio drammatico
(Diceopoli che si accinge a indossare i panni cenciosi di Telefo nel passo degli
Acarnesi; Santia che veste gli indumenti caratteristici di Eracle nelle Rane): alla
luce di tali esempi, viene da chiedersi se, anche nel presente contesto comico,
per il vocabolo non possa essere supposta la medesima valenza tecnica.
2 τάνδον Crasi per τά ένδον. Tale forma univerbata, variamente atte-
stata in tragedia (cfr., e.g., Soph. Tr. 334; Eur. Hec. 1017, El. 76, 422, 1037, IT
726, Or. 928, 1514, fr. 790.1) e, con meno frequenza, in commedia (cfr. Ar. Lys.
495; Men. Dysc. 455, Sam. 197, 414 [τάνδον], 613, Phasm. 60; cfr. inoltre Sophr.
*73.1), vale qui “ciò che sta dentro”, con riferimento nello specifico aH’interno
di un edificio, “in casa”.
άνακάλλυνον Glossato da Frinico atticista (PS, p. 22.10) e da Fozio (a
1511) con σαίρω (“ramazzare”), il verbo άνακαλλύνω, al pari del semplice
καλλύνω (che la tradizione lessicografica spiega come sinonimo di verbi
afferenti alla sfera semantica del “pulire” e del “ramazzare”, come, per es.,
κοσμέω, σαρόω, κορέω e σαίρω) e del deverbativo κάλλυντρον (“scopa”),
appartiene etimologicamente alla famiglia dei derivati di καλός (“bello”) e
di κάλλος (“bellezza”). Per quello che è noto, ricorre in letteratura soltanto
in questo passo e, più tardi, in Cyrill., MPG LXIX, p. 676.45 Migne (dove vale
“restituire la bellezza a”: cfr. DGE II, s.v. [1], p. 2). Sul fondamento deìYinter-
pretamentum di Frinico e di Fozio, tale composto viene generalmente reso
nei lessici moderni con espressioni quali “pulire”, “ramazzare” e simili (cfr.,
e.g., ThGL' II, s.v, p. 396d: «verro»; DGEII, s.v. [1], p. 242: «barrer»; G/, s.v,
p. 218: «pulire», «spazzare»). Tali traduzioni non rendono però giustizia al
prefisso ava-, che, nel presente contesto, ha probabilmente valore intensivo:
“pulire bene, a fondo” (cfr., e.g., le traduzioni del composto verbale offerte da
LSJ [s.v. άνακαλλύνω, p. 107] e da Storey [FOC III, p. 67]: «sweep up»; vd.
inoltre Edmonds FACI, p. 463: «tidy up»).