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Ποάστριαι (fr. 40)

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la colazione (άριστίζων), vale a dire uno spettacolo gradevole, “impastando
dalla delicata bocca idee di grande urbanità” (άπό κραμβαλέου στόματος
μάττων άστειοτάτας έπινοίας); dello stesso Aristofane, vd. inoltre il fr. 347,
dalle Thesmophoriazousai II, in cui, per definire l’arte di Cratete, si ricorre
all’espediente della metafora della pietanza poetica (al v. 1 del frammento, la
τρυγωδοποιομουσική, la “commedia”, è definita μέγα τι βρώμ(α), “un gran
pasto”: sull’esegesi del frammento, desunto forse da un epirrema parabatico
[in merito vd. ora Imperio 2004, p. 216], si rimanda alle notazioni di Bonanno
[1972, pp. 126-139]); cfr. poi i frr. 158, dal Gérytadès: (A.) και πώς έγώ Σθενέλου
φάγοιμ’ αν ρήματα; / (Β.) εις όξος έμβαπτόμενος ή ξηρούς άλας (“(A.) E come
potrei io mangiare le parole di Stenelo? / (B.) Intingendole nell’aceto o nel
sale secco”), 595.4 (incertae fabulaé), in cui si dice che per rendere saporiti i
versi di Euripide bisogna “spargervi” (έμβαλεϊν) sopra un po’ di “sale” (άλας).
Del resto, la metafora del ‘cibo poetico’ vanta una ricca tradizione letteraria,
in merito a cui vd. l’utile selezione bibliografica offerta ora da Imperio (2004,
p. 217).
αύτοπυρίταισι Ε’αύτοπυρίτης ovvero αύτόπυρος άρτος era una varietà
di pane, “interamente” (così deve essere inteso il prefisso αύτο-: cfr. Richards
1923, p. 23) confezionato con farina di frumento, cui non veniva però tolta la
crusca: di qui il colore scuro che caratterizzava tale alimento, che, di fatto, rap-
presentava per i Greci l’equivalente del nostro “pane integrale” (cfr. Battaglia
1989, p. 80 [ad 2d]). Lo schol. [BCVipQ] Lue. Pise. 45.1-3 informa che si trattava
di un tipo di pane molto “frugale” (λιτός), “sottoposto a parziale cottura”
(σχεδίως ώπτημένος). A questa tipologia di άρτος erano riconosciute delle
straordinarie qualità fortificanti e, nel contempo, lassative: cfr., e.g., Hp. Aff.
20.19-20, 22.10-11 (= VII, pp. 216.14-15, 222.7-8 Littré); Petr. 66. 2: habuimus
[...] panem autopyrum de suo sibi, quem ego malo quam candidum; et viresfacit,
e cum mea re causa facio, non ploro (i Romani si riferivano comunemente a que-
sta varietà di pane con l’espressione panis acerosus: cfr. Marx 1905, pp. 186-187
[adLucil. 501]). In generale, εηΙΓαύτοπυρίτης vd. Bliimner I, pp. 75-77; e cfr.
Moritz 1958, pp. 160-161; Verdenius 1968, pp. 137,148-149; Garcia Soler 2001,
pp. 82-83; per l’etimologia del vocabolo si rimanda a Redard (1949, s. v., p. 88).
λιπώσι Si tratta di un participio presente contratto con valore attributi-
vo (è accordato sintatticamente con il successivo στεμφύλοις) di λιπάω (per
il verbo è nota anche una forma epica in -όω). Derivato da λίπα, avverbio
d’ascendenza omerica, da cui si formano anche i sostantivi λίπος e λίπας,
“grasso” (cfr. Frisk GEWU, s.v., pp. 126-127; Chantraine DELG, s.v., p. 642;
Beekes EDG, s.v, p. 864), λιπάω registra, nell’uso letterario, due possibilità
d’impiego: una intransitiva, “essere lucido”, “brillare” (cfr. LSJ, s. v. [I], p. 1053:
«to be sleek, radiant»: così, e.g., in Cali. frr. 7.13, 261.3 Pf.; APVH. 413.4; Nic. Al.
 
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