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Phrynichos

sede al v. 2288) e, pur nella sua complessità, organicamente articolato dal punto
di vista sintattico; (b) non sarebbe conciliabile con il restante contenuto della
glossa, che, dopo la citazione dai Satyroi di Frinico, riprende a trattare del
verbo ευαγγελίζομαι.
Se alle suddette obiezioni si può attribuire un qualche peso, operazione
meno costosa sarà quella di ritenere i versi autentici, postulando quindi la
presenza di una forma verbale di εύαγγελίζομαι dopo il v. 3, in un ipotetico v.
4, che, a causa di un guasto testuale (di cui è rimasta una piccola traccia nel
corrotto δευριανόν δει con cui si chiude il v. 3), è venuto meno nel corso della
tradizione manoscritta: e verso questa direzione si muovono gli interventi con-
getturali di Hermann (1801, p. 250 [= Opusc. I, p. 49]: δεϋρο νυν / ^εύαγγελών
σοι}), di Cobet (1856, pp. 182-183 [= 1858, pp. 162-163] : δεϋρ’ ϊνα / ^εύαγγελί-
σωμαι πρώτος ύμίν τάγαθά» e, da ultimo, di Edmonds (FACI, p. 464: δεϋρ’,
ϊνα / <εΰαγγελίσωμαι πρώτος ώ πρώτ>όν <με> δει).
Interpretazione Per nulla agevole è l’esegesi della situazione scenica con-
tenuta nel frammento, che è stato letto (e tradotto) in maniera non univoca
dagli studiosi. Si ritiene che a pronunciare i versi sia colui che parla in propria
persona al v. 3 (έγώ δ’ άπέδραν): questo personaggio (che chiameremo A)
sembra fornire (nel corso di una scena dialogica? Indicativa di ciò sembrerebbe
essere la congiunzione causale ότιή, per cui vd. infra) un resoconto sommario
di una serie di azioni che hanno come protagonista un non ben precisato
individuo di sesso maschile (1’αύτόν del v. 1); questo secondo personaggio (B),
a stare a quanto riferisce A, “prima di recarsi” (πριν έλθείν) a una non ben
identificabile assemblea (εις βουλήν: il Consiglio dei Cinquecento di Atene o
una generica assemblea?), “doveva recarsi dal dio” (vv. 1-2: έδει [...] προς τον
θεόν / ήκειν), per riferire (verosimilmente a tale divinità) delle notizie. L’uso
dell’imperfetto εδει al v. 1 non consente di appurare se tali azioni siano state
compiute da B ovvero se siano state lasciate in sospeso. Al racconto diegetico
di questi fatti la persona loquens sembra quindi contrapporre (v. 3: έγώ δ(έ))
la propria decisione di darsi alla macchia (άπέδραν), sfuggendo da qualcuno
(έκεϊνον), che andrà presumibilmente identificato con B.

288 Proprio per evitare l’anapesto ‘strappato’ (per di più, inciso dalla cesura eftemi-
rnere), Rock (CAFI, p. 382) preferiva leggere πάλιν ώς τόν θεόν; G. Kaibel (ap.
PCGVil, p. 415) propendeva per le correzioni πάνθ’ ώς ovvero έπειθ’ ώς, mentre
Edmonds (FACI, p. 464) ricostruiva il seguente emistichio, πάλιν εις του θεού. Per
l’uso dell’anapesto ‘strappato’ in commedia vd. Berhardi 1871; White 1912, pp. 45-
48 [§§ 118-121] (esempi in Aristofane), 61 [§§ 160-162] (esempi in Menandro);
Arnott 1957 (esempi nei frammenti di Alexis).
 
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