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Incertarum fabularum fragmenta (fr. 82)

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(άνδρας δεξιούς / και νουν έχοντας, ών υπό τής φειδωλίας / άπεκείρατ’ ούδείς
πώποτ’ ούδ’ ήλείψατο / ούδ’ εις βαλανείον ήλθε λουσόμενος)”. Un’immagine
analoga ricorre al v. 1553 degli Uccelli, in cui Socrate è definito άλουτος ("non
lavato”); e, per l’indifferenza di Socrate e dei ‘socratici’ alla pulizia, cfr. inoltre
lo schol. [B] Plato Ap. 19 Gufalo, in cui si attesta che Gratino, nella Pytinè (fr.
215), prendeva in giro Cheremone, un allievo di Socrate, εις αυχμηρόν καί
πένητα (sul passo vd., supra, ad fr. 21); e vd. Plato Smp. 174a, in cui Aristodemo
si dice sorpreso di vedere Socrate ben lavato e con indosso un paio di sandali.
Che anche il frammento di Frinico possa essere letto alla luce del trend comico
appena descritto?
αύχμάς Può trattarsi di una 2a persona singolare del presente indicativo
attivo ovvero del presente congiuntivo attivo di αύχμάω. Il verbo, la cui più
antica occorrenza nota si registra proprio in Frinico, costituisce una varian-
te in -άω di αύχμέω, verbo di ascendenza omerica (ma ben documentato
nell’attico di V-IV secolo: cfr., e.g., Ar. Nu. 442 [con Dover 1968a, p. 156], 920,
PI. 84 [vd. però LSJ, s. v. αύχμέω, p. 285]; Plato R. 606d, Ti. 84a). Entrambe le
forme verbali sono da ricondursi etimologicamente alla famiglia dei derivati
di αύχμός (“disseccamento” e, lato sensu, “sporcizia”). Sia αύχμάω che αύχμέω
significano dunque “essere secco, arido, polveroso” e, in senso traslato, “sono
trascurato, sporco” (cfr. LSJ, s. v. αύχμέω, p. 285: «to be squalidor unwashed»).

fr. 82 (77 K.)
Poli. IV. 185 [FS, A]
τάχα δέ καί το κοιλοφθαλμιάν, ούκ ίδιον μεν γινόμενον έν όφθαλμοϊς νόσημα, συμ-
βαϊνον δέ κοιλαίνεσθαι τούς οφθαλμούς έξ άλλου νοσήματος· “ούδ’ ύδατοπωτών
(ύδατοποτών codd.: corr. Porson Adv., p. 284 [= Adv., p. 251]), ούδέ κοιλοφθαλμιών”,
φησίν ó Κρατΐνος. Φρύνιχος δ’ ό κωμικός καί τήν κοιλοφθαλμίαν (τής -ας FS)
εϊρηκεν
e forse (va citato) anche il verbo koilophthalmiàn (= “avere le occhiaie”), che non
(indica) propriamente una malattia degli occhi, ma (si usa) quando capita di avere gli
occhi incavati per un’altra malattia: “non un bevitore d’acqua, né uno che ha gli occhi
infossati”, dice Gratino (fr. 319). E il poeta comico Frinico ha detto koilophthalmia
(= “occhiaie”)
Bibliografìa Meineke FCG ILI, p. 608 [Inc.fab. fr. xxiii]; Meineke Ed.min.,
p. 240 [Inc.fab. fr. xxiii]; Bothe PCGF, p. 221 [Inc.fab. fr. 23]; Kock CAF1, p. 389;
Schmid 1946, p. 141 n. 2; Edmonds FACI, pp. 472-473 [fr. 77]; Kassel/Austin
PCG VII, p. 428; Storey FOC III, p. 79 [fr. 82]
 
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