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Phrynichos
verosimilmente la risposta del figlio “cattivo” alle minacce del padre di ri-
portarlo alla vita reale con il sudore e la fatica del lavoro nei campi; a queste
provocazioni il figlio controbatterebbe, rivendicando il livello di superiorità
della propria istruzione sofìstica (ha infatti imparato a suonare Yaulos e la lyra,
per potersi esercitare nelle nuove composizioni musicali ‘alla moda’), grazie
alla quale egli è convinto di potersi sostentare, senza obbedire alle imposi-
zioni paterne. È stato notato dagli esegeti che il su citato passo aristofaneo
si inserisce con buona verosimiglianza in quel trend comico consistente nel
mettere in ridicolo lo sperimentalismo musicale caro alle nuove generazioni
di citarodi e di ditirambografi, che, sul virtuosismo strumentale, fondavano
le proprie composizioni, seguendo gli insegnamenti altamente innovativi (a
livello sia tecnico che esecutivo) proposti nelle scuole dei sofisti. Alla luce di
ciò, viene da chiedersi se anche i trimetri di Frinico non possano contenere
una velata allusione alla detta polemica contro la musica ‘moderna’ e contro
il suo insegnamento: cosi suggerisce, fra gli altri, Beta (2009, pp. 240-241 n.
209). Sull’evoluzione in chiave virtuosistica della citarodia e della ditiram-
bografia nell’Atene di fine quinto secolo e sulla critica dei commediografi alle
nuove generazioni di musicisti vd. Zimmermann 1988 (cfr. Zimmermann 1992,
pp. 117-136 [= 2008, pp. 116—133]); e cfr. Souto Delibes 1999.
1 oò ... μέντοι Per tale nesso, corrispondente all’avverbio latino nonne
(“non forse... ?”), vd. Denniston GP, p. 403.
τουτονί Per l’impiego della clausola deittica -i nei testi comici cfr.
Martin de Lucas 1996, pp. 157-171; Lopez Eire 1996, pp. 111-113; Willi 2002,
pp. 117-118, 2003b, pp. 244-245. Con tutta probabilità, il personaggio alluso
dal pronome dimostrativo era indicato dalla persona loquens anche attraverso
un movimento gestuale.
σύ II pronome, collocato in forte iperbato rispetto al verbo reggente (v.
2: έδίδαξας), è enfatizzato dal precedente μέντοι (cfr. Dover 1968a, p. 109 [ad
Nu. 126]) e dalla pausa principale che segue.
κιθαρίζειν La kithara, strumento a corda professionistico (τεχνικόν
όργανον: così la definisce Aristotele [Poi. 1341a]) presso gli antichi Greci
(com’è confermato peraltro dalle raffigurazioni della ceramografia attica, in
cui la κιθάρα compare sempre in mano a divinità ovvero in contesti agonali:
vd. Sarti 1993, p. 30 n. 32), era formata da un’ampia cassa armonica a base
solitamente rettangolare e da due bracci laterali corti e tozzi, che, congiunti
da un asse mediano, tenevano tese le sette corde di cui era tradizionalmente
fornita. L’apprendimento della nozioni di base per suonare la kithara costitu-
iva un insegnamento standard nel percorso di studi dei giovani ateniesi: cfr.
Ar. Eq. 987-996, Nu. 964 (con Dover 1968a, pp. Iviii-lx); Plato Prt. 325c-326e;
Phrynichos
verosimilmente la risposta del figlio “cattivo” alle minacce del padre di ri-
portarlo alla vita reale con il sudore e la fatica del lavoro nei campi; a queste
provocazioni il figlio controbatterebbe, rivendicando il livello di superiorità
della propria istruzione sofìstica (ha infatti imparato a suonare Yaulos e la lyra,
per potersi esercitare nelle nuove composizioni musicali ‘alla moda’), grazie
alla quale egli è convinto di potersi sostentare, senza obbedire alle imposi-
zioni paterne. È stato notato dagli esegeti che il su citato passo aristofaneo
si inserisce con buona verosimiglianza in quel trend comico consistente nel
mettere in ridicolo lo sperimentalismo musicale caro alle nuove generazioni
di citarodi e di ditirambografi, che, sul virtuosismo strumentale, fondavano
le proprie composizioni, seguendo gli insegnamenti altamente innovativi (a
livello sia tecnico che esecutivo) proposti nelle scuole dei sofisti. Alla luce di
ciò, viene da chiedersi se anche i trimetri di Frinico non possano contenere
una velata allusione alla detta polemica contro la musica ‘moderna’ e contro
il suo insegnamento: cosi suggerisce, fra gli altri, Beta (2009, pp. 240-241 n.
209). Sull’evoluzione in chiave virtuosistica della citarodia e della ditiram-
bografia nell’Atene di fine quinto secolo e sulla critica dei commediografi alle
nuove generazioni di musicisti vd. Zimmermann 1988 (cfr. Zimmermann 1992,
pp. 117-136 [= 2008, pp. 116—133]); e cfr. Souto Delibes 1999.
1 oò ... μέντοι Per tale nesso, corrispondente all’avverbio latino nonne
(“non forse... ?”), vd. Denniston GP, p. 403.
τουτονί Per l’impiego della clausola deittica -i nei testi comici cfr.
Martin de Lucas 1996, pp. 157-171; Lopez Eire 1996, pp. 111-113; Willi 2002,
pp. 117-118, 2003b, pp. 244-245. Con tutta probabilità, il personaggio alluso
dal pronome dimostrativo era indicato dalla persona loquens anche attraverso
un movimento gestuale.
σύ II pronome, collocato in forte iperbato rispetto al verbo reggente (v.
2: έδίδαξας), è enfatizzato dal precedente μέντοι (cfr. Dover 1968a, p. 109 [ad
Nu. 126]) e dalla pausa principale che segue.
κιθαρίζειν La kithara, strumento a corda professionistico (τεχνικόν
όργανον: così la definisce Aristotele [Poi. 1341a]) presso gli antichi Greci
(com’è confermato peraltro dalle raffigurazioni della ceramografia attica, in
cui la κιθάρα compare sempre in mano a divinità ovvero in contesti agonali:
vd. Sarti 1993, p. 30 n. 32), era formata da un’ampia cassa armonica a base
solitamente rettangolare e da due bracci laterali corti e tozzi, che, congiunti
da un asse mediano, tenevano tese le sette corde di cui era tradizionalmente
fornita. L’apprendimento della nozioni di base per suonare la kithara costitu-
iva un insegnamento standard nel percorso di studi dei giovani ateniesi: cfr.
Ar. Eq. 987-996, Nu. 964 (con Dover 1968a, pp. Iviii-lx); Plato Prt. 325c-326e;