Έπιάλτης si ve Εφιάλτης (fr. 3)
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1 αυτούς II pronome allude ai giovani cittadini ateniesi, indicati, più
avanti, attraverso Timmagine poetica dell’cxvOog ήβης (v. 3).
των νυν Scil. έργων. Il sintagma va considerato (e tradotto) con il suc-
cessivo χαλεπώτατον έργον, un’espressione, quest’ultima, che, in tutta la
letteratura greca conservata, ricorre altrove solo al v. 516 della parabasi dei
Cavalieri di Aristofane, nel noto passo in cui il commediografo, per bocca del
corifeo, spiega al pubblico le ragioni della sua esitazione ad assumere la regia
dei propri drammi.
2 τι κέντρον έν τοΐς δακτύλοις Attraverso queste parole la persona
loquens introduce una metafora ‘entomologica’ (che si concluderà nel verso
successivo), in cui i giovani ateniesi (precedentemente allusi per mezzo del
pronome αύτούς: v. 1) vengono equiparati ad api ovvero a vespe, in quanto
provvisti, nel pensiero di chi sta parlando, di “una sorta di pungiglione tra le
dita”. Attraverso quest’immagine si sta forse alludendo al dito medio (ovvero
al mignolo), che i giovani sarebbero avvezzi a esibire contro chiunque non
stesse loro particolarmente a genio (così, per primo, suggeriva di interpretare
l’espressione Bothe [PCGF, p. 209]; favorevoli a tale esegesi sono ora anche
Halliwell [2004, p. 129 n. 35] e Olson [2007, pp. 371-372, ad J14.2]): che un
simile gesto - indicato nelle fonti letterarie mediante il verbo denominale
σκιμαλίζω (da σκίμαλλος) - avesse, nell’Atene di quinto secolo, così come
oggi, una valenza offensiva è confermato, per es., da Ar. Ach. 444, Pax 549
(con Olson 1998, p. 189). Un’analoga immagine ‘entomologica’ (non però a
sfondo scurrile) ricorre in Eup. fr. 102 (dai Demoi), in cui l’elogio dell’abilità
retorica di Pericle, descritto al v. 1 come “il migliore degli uomini nell’arte del
parlare” (κράτιστος [...] ανθρώπων λέγειν), si articola, nei versi successivi,
nell’esaltazione della straordinaria capacità dello statista ateniese di conficcare
il suo “pungiglione” negli ascoltatori (v. 7: το κέντρον έγκατέλειπε τοΐς άκροω-
μένοις): sull’esegesi del frammento eupolideo vd. ora Storey 2003, pp. 133-134;
Telò 2007, pp. 171-199; Conti Bizzarro 2009, pp. 73-83.
3 μισάνθρωπον L’aggettivo, ben attestato nella prosa attica di V-IV
secolo (cfr., e.g., Plato Phd. 89d, Prt. 327d, Lg. 791d; Isoc. 15. 131), costituisce un
unicum in commedia (non considero nel conteggio delle possibili occorrenze
in commedia il titolo alternativo del Dyskolos menandreo, attestato nella hypo-
thesis al dramma e verosimilmente d’ascendenza libraria [cfr. Sandbach, in:
Gomme/Sandbach 1973, pp. 129-130], e il titulus fabulae, al plurale, ricostruito
per Difìlo [test. 5, in PCG V, p. 48]).
άνθος ήβης II nesso vanta una lunga tradizione nella poesia ‘seria’:
cfr., e.g., II. XIII.484; h.Merc. 375; Hes. Ih. 988; Tyrt. fr. 10.28 W2. (= fr. 7.28
Gentili - Prato ); Mimn. fr. 2.3 W2. (= fr. 8.3 Gentili - Prato2); Thgn. 1007-1008
W2.; Sol. fr. 25.1 W2. (= fr. 16.1 Gentili - Prato"); Pi. P. 4.158 (anche in espres-
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1 αυτούς II pronome allude ai giovani cittadini ateniesi, indicati, più
avanti, attraverso Timmagine poetica dell’cxvOog ήβης (v. 3).
των νυν Scil. έργων. Il sintagma va considerato (e tradotto) con il suc-
cessivo χαλεπώτατον έργον, un’espressione, quest’ultima, che, in tutta la
letteratura greca conservata, ricorre altrove solo al v. 516 della parabasi dei
Cavalieri di Aristofane, nel noto passo in cui il commediografo, per bocca del
corifeo, spiega al pubblico le ragioni della sua esitazione ad assumere la regia
dei propri drammi.
2 τι κέντρον έν τοΐς δακτύλοις Attraverso queste parole la persona
loquens introduce una metafora ‘entomologica’ (che si concluderà nel verso
successivo), in cui i giovani ateniesi (precedentemente allusi per mezzo del
pronome αύτούς: v. 1) vengono equiparati ad api ovvero a vespe, in quanto
provvisti, nel pensiero di chi sta parlando, di “una sorta di pungiglione tra le
dita”. Attraverso quest’immagine si sta forse alludendo al dito medio (ovvero
al mignolo), che i giovani sarebbero avvezzi a esibire contro chiunque non
stesse loro particolarmente a genio (così, per primo, suggeriva di interpretare
l’espressione Bothe [PCGF, p. 209]; favorevoli a tale esegesi sono ora anche
Halliwell [2004, p. 129 n. 35] e Olson [2007, pp. 371-372, ad J14.2]): che un
simile gesto - indicato nelle fonti letterarie mediante il verbo denominale
σκιμαλίζω (da σκίμαλλος) - avesse, nell’Atene di quinto secolo, così come
oggi, una valenza offensiva è confermato, per es., da Ar. Ach. 444, Pax 549
(con Olson 1998, p. 189). Un’analoga immagine ‘entomologica’ (non però a
sfondo scurrile) ricorre in Eup. fr. 102 (dai Demoi), in cui l’elogio dell’abilità
retorica di Pericle, descritto al v. 1 come “il migliore degli uomini nell’arte del
parlare” (κράτιστος [...] ανθρώπων λέγειν), si articola, nei versi successivi,
nell’esaltazione della straordinaria capacità dello statista ateniese di conficcare
il suo “pungiglione” negli ascoltatori (v. 7: το κέντρον έγκατέλειπε τοΐς άκροω-
μένοις): sull’esegesi del frammento eupolideo vd. ora Storey 2003, pp. 133-134;
Telò 2007, pp. 171-199; Conti Bizzarro 2009, pp. 73-83.
3 μισάνθρωπον L’aggettivo, ben attestato nella prosa attica di V-IV
secolo (cfr., e.g., Plato Phd. 89d, Prt. 327d, Lg. 791d; Isoc. 15. 131), costituisce un
unicum in commedia (non considero nel conteggio delle possibili occorrenze
in commedia il titolo alternativo del Dyskolos menandreo, attestato nella hypo-
thesis al dramma e verosimilmente d’ascendenza libraria [cfr. Sandbach, in:
Gomme/Sandbach 1973, pp. 129-130], e il titulus fabulae, al plurale, ricostruito
per Difìlo [test. 5, in PCG V, p. 48]).
άνθος ήβης II nesso vanta una lunga tradizione nella poesia ‘seria’:
cfr., e.g., II. XIII.484; h.Merc. 375; Hes. Ih. 988; Tyrt. fr. 10.28 W2. (= fr. 7.28
Gentili - Prato ); Mimn. fr. 2.3 W2. (= fr. 8.3 Gentili - Prato2); Thgn. 1007-1008
W2.; Sol. fr. 25.1 W2. (= fr. 16.1 Gentili - Prato"); Pi. P. 4.158 (anche in espres-