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Κρόνος (fr. 9)

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Contesto delle citazioni Questi trimetri giambici sono citati dall’anti-
co scoliaste ad Ar. Av. 988c tra le varie testimonianze comiche relative al
kdmddoumenos Diopite. Al medesimo contesto cui appartiene il frammento
viene inoltre riferita dagli studiosi (a partire da Meineke [FCG ILI, p. 583]) la
breve notizia dello scoliaste veneto ad Ar. V. 380b, secondo cui vi sarebbe un
possibile rapporto d’identità fra il Diopite menzionato nelle Vespe (e qualifi-
cato dal commentatore aristofaneo come ρήτωρ) e l’omonimo personaggio
ricordato da Frinico.
Testo Al v. 1, è concordemente accettata a testo la forma univerbata άνήρ
(crasi per ó άνήρ), congetturata da Lobeck (1826, p. 7 n. 6; cfr. inoltre Lobeck
1829, p. 981), in luogo della lectio codicum άνήρ. Sempre a Lobeck si deve la
lettura μεταδράμω (v. 2), accolta quasi all’unanimità da tutti i successivi editori
dello scolio aristofaneo (a cominciare da Dinforf [IV.3, p. 230]) e di Frinico
(da Meineke [FCG ILI, p. 583] in poi; fa eccezione il solo Edmonds [FAC I,
p. 457], che, di contro all’opinio communis, preferisce stampare μεταδραμών).
Precedentemente, si restituiva al citatum la voce μεταδραμώ, trasmessa dal
codice Estense. L’uso della sintassi βούλει + congiuntivo, ben documentato
nell’Attico di V-IV secolo, sembra giustificare la diortosi di Lobeck e rende
non necessaria la correzione del tràdito βούλει in βούλη (2a persona singolare
del congiuntivo presente di βούλομαι), suggerita da G. Kaibel in una nota
manoscritta ora edita in PCG VII, p. 399.
Interpretazione Si deve per primo a Kock (CAFIII, p. 720) la proposta - ac-
colta con grande favore da Raines (1934, pp. 339-340) e da Edmonds (FAC I,
p. 454 n. d) - di intravedere in questi trimetri giambici uno scambio di battute
tra due personaggi,91 che Raines (1934, p. 340), con una buona dose di inven-
tiva, suggeriva di identificare rispettivamente con «a speaker with a “straight”
part» e con «a buffoon as his interlocutor» (a un’unica persona loquens, nello
specifico a un «servulus», assegnava invece il distico Bothe [PCGF, p. 211]).
Queste due battute sembrano fare da sfondo a un’ipotetica scena di sa-
crificio (cfr. la locuzione τά τού θεού in explicit di v. 1), in cui un ruolo (non
possiamo dire se centrale o meno) aveva l’esibizione orchestica di un non
ben identificabile (per noi moderni) individuo di sesso maschile (cfr. la forma
univerbata άνήρ con cui si apre la citazione).

91 Anche Blaydes (Adv. II, p. 51), nel riportare verbatim le parole di Kock («Fort. B.
βούλει κτλ.»), lascia intendere una certa preferenza per la proposta di attribuzione
del v. 2 a una persona loquens diversa da quella del v. 1.
 
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