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Phrynichos

come: «Sellae memento me abs te subjectum, velut lignum»); più costosi sono
invece i tentativi di emendazione esperiti da Blaydes (Adv. II, p. 52): κάκάθιζέ
με / ξύλον ύποτείνας (ovvero ύποτετακώς), e da Edmonds (E4CI, p. 456 con
n. 2): εκεί μέν ήσθω μοι_Γ| ξύλον <θ’> ύποτετακός («Let him sit there, please,
where a seat ’s been put for him»: FACI, p. 457).
Al di là delle congetture ‘diagnostiche’ testé elencate, appare indubbio,
per lo meno a stare alle parole con cui Erotiano introduce la citazione (καί
ύποτεταμένον τό ύποκείμενον ξύλον, τό οίον βάθρον, ώς και Φρύνιχος έν
Κρόνω φησί· κτλ.), che a Frinico debba essere restituita la forma verbale ύπο-
τεταμένον per la lectio codicum ύποτεταγός: così, del resto, suggeriva già Kock
(CAPI, p. 373): «adparet in Phrynichi verbis necessario fuisse ύποτεταμένον»;
la medesima diortosi prospettava anche Nachmanson (1918, p. 89).
Interpretazione Dalle parole di Erotiano sembra dedursi che Frinico facesse
uso della forma verbale ύποτεταμένον, che, come si è detto, andrà verosi-
milmente restituita al citatum, in luogo dell’improbabile lettura dei codici
ύποτεταγός. Nella sua versione originaria, l’opera di Erotiano si proponeva
di esaminare e di spiegare le parole oscure contenute nei trentasette trattati
del corpus ippocratico (sulla struttura originaria dell’opera lessicografica di
Erotiano cfr. ora Dickey 2007, p. 45): nella glossa in questione, il grammatico
si prefigge di illustrare il corretto significato del participio ύποτεταμένον,
sostenendo che esso indichi, in Ippocrate, τό ύποκείμενον ξύλον, τό οίον
βάθρον. Due sono le attestazioni del termine nel corpus Hippocraticum: in
Fract. 4.3 (= III, p. 428.3 Littré) e in Art. 73.11 (= IV, p. 302.1 Littré). Nel passo
del De fracturis con il participio ύποτεταμένον si identifica specificamente
l’ulna, che, “posizionata sotto” (ύποτεταμένον) il radio, in casi di frattura di
tale osso, può fungere da supporto naturale, agevolando le operazioni di cura.
Ben più interessante è però il contesto del De articulis (che, verosimilmente,
rappresenta il locus classicus cui fa riferimento Erotiano), dove tale forma
verbale ricorre a qualificare quella “stecca di legno” (ξύλον), che, “di larghezza
adeguata e di una lunghezza sufficiente a raggiungere la caviglia” (έχον τό
πλάτος μέτριον, καί μήκος άχρι τού σφυρού), in caso di lussazione del femo-
re, “dovrà essere applicata al di sotto dell’arto, avanzandosi oltre la testa del
femore, per quanto sarà sufficiente” (χρή [...] ύποτεταμένον ύπό τό σκέλος
είναι, ίκνεόμενον έπέκεινα τής κεφαλής του μηρού ώς οίόν τε) e infine “dovrà
essere legata tutt’intorno alla gamba come si conviene” (προσκαταδεδέσθαι δε
χρή προς τό σκέλος, δκως αν μετρίως έχη), per immobilizzare l’arto lussato
e facilitarne l’operazione di “distensione” (κατάτασις), favorendo dunque il
graduale rientro in sede della testa articolare fuoriuscita.
Per quanto lo stato in cui versa la citazione sia tale da non permettere
alcuna ipotesi interpretativa fondata, in ragione della combinazione di termini
 
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