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136

Phrynichos

Contesto della citazione Questi trimetri giambici sono preservati dalla
Συναγωγή (a 374) e da Fozio (a 375) all’interno di una glossa di derivazione at-
ticista (cfr. Phryn. PS, p. 44.19-23), relativa all’impiego del sostantivo βίος con
aggettivi qualificativi inizianti per a- privativum. Certamente riconducibili al
frammento - come già rilevava Meineke (FCG ILI, p. 588) - sono anche due
glosse del grammatico Frinico: PS, p. 44.1-2: άδουλος βίος· ó μή δουλεύοντα
έχων, e PS, p. 43.15-16: απρόσοδος βίος· ώ ούδείς πρόσεισιν, άλλ’ έρημος. A
Meineke (1827, ρ. 9 n. *, FCG ILI, ρ. 588) si deve inoltre la suggestiva proposta
di intravedere in un passo delle Declamazioni del retore di IV secolo d. C.
Libanio (26. 46 [= VI, p. 540.9-12 Forster]): διαβάλλοντάς μου την ήσυχίαν,
άπρόσοδον καλοΰντας, άγέλαστον ονομάζοντας, ίδιογνώμονά μου τον βίον
προσαγορεύοντας, una presunta rielaborazione dei versi del Monotropos: è
superfluo dire che, se l’intuizione di Meineke fosse giusta - come ritengono,
per es., Bothe (1844, p. 17), Kock (CAFI, p. 375), Schmid (1946, p. 139 con
n. 3, 1959, p. 163 n. 23), Gelzer (1965) e, da ultimo, Tornassi (2011, p. 21) -,
ne gioverebbero non poco le nostre conoscenze sulla conservazione e sulla
ricezione dell’opera di Frinico al tempo del retore antiocheno.
Testo Edito per la prima volta e in forma prosastica da Ruhnken (1781, p. 35
[ad h.Cer. 200]), il frammento fu ordinato secondo uno schema giambico da
I. Bekker (in; AB I, p. 344.32-33), il quale, per ragioni metriche, poneva un
segno di lacuna tra la fine del v. 1 e l’inizio del v. 2. Una diversa disposizione
proponeva T. Bergk (ap. Fritzsche 1835, p. 321, 1838, p. 371), che scandiva il
distico iniziale come όνομα δέ μοϋστι Μονότροπος· / <p—
ζώ δέ Τίμωνος βίον (l’ultimo metron del ν. 1 presenterebbe una successione
tribr ia non molto frequente, ma comunque attestata nel trimetro comico: in
merito vd. White 1912, pp. 38-39 [ad §§ 99-100]). Giova segnalare che una
lacuna a inizio e del v. 1 e del v. 2 ricostruivano anche Fritzsche (1870-1871,
p. 5: <p—> όνομα δέ μοϋστι Μονότροπος / άζυγος, <έρημος·> ζώ δέ Τίμωνος
βίον), Edmonds (FACI, ρ. 458: > όνομα δέ μοϋστι Μονότροπος, / <καί
τού μονοτρόπου) ζώ δέ Τίμωνος βίον). Meineke (FCG ILI, ρ. 588) non esclu-
deva invece la possibilità di leggere il distico iniziale sine lacuna: όνομα δέ
μοι / έστίν Μονότροπος, ζώ δέ Τίμωνος βίον (versi pieni erano ricostruiti già
in Meineke 1814, p. 55: όνομα δέ μου / Μονότροπος έστι· ζώ δέ Τίμωνος βίον;
cfr. inoltre Cobet 1840, ρ. 43: όνομα δέ μοι / Μονότροπος έστι, ζώ δέ Τίμωνος
βίον).
Al ν. 3, la lezione dei manoscritti άζυγον pone non pochi problemi di
senso e soprattutto metrici: come opportunamente notavano Meineke (FCG
ILI, p. 588) e Bothe (1844, p. 17), l’aggettivo risulta quasi tautologico rispetto al
precedente άγαμον, con cui, peraltro, formerebbe un incipit di verso impossi-
bile per un ritmo giambico, tribr da (cfr. White 1912, p. 49 [ad § 125]). A fronte
 
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