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Μονότροπος (fr. 19)

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fuggì [...], lanciando molte maledizioni contro gli uomini malvagi. Così quello,
proprio come noi, odiava sempre gli uomini malvagi, mentre alle donne voleva
bene” (w. 808-820148). Per i poeti comici Timone è dunque una figura tutt’altro
che reale, apparendo infatti come incarnazione del misantropo tout court (cfr.
la serie di epiteti con cui il Monotropos qualifica la sua “vita da Timone”). Le
successive testimonianze sul personaggio sono quelle di Neante di Cizico:
scrittore del III secolo a. C., formatosi alla scuola del retore Filisco, allievo di
Isocrate, costui fu autore di opere di carattere retorico, storico, mitografico, e
anche di una perduta biografia su Timone, in cui si narrava della sua singolare
morte (a causa di ferite non curate, frutto di una rovinosa caduta da un pero
selvatico) e del suo τάφος fatto erigere in un luogo inaccessibile fuori da Atene
(FGrHist 84 F 35). Nel bios di Neante Timone era una figura storica a tutti gli
effetti; e come tale venne poi recepito, a distanza di cinque secoli, da Plutarco
che, in Ant. 70. 1-2, lo dice “Ateniese e vissuto all’incirca (μάλιστα) al tempo
della guerra del Peloponneso”, rivelando di desumere questa e le altre notizie
su Timone riportate nella sua opera (oltre ad Ant. 70. 1-2, cfr. Ale. 16. 9) “dai
drammi di Aristofane (vd. suprd) e di Platone (fr. 237)” (έκ των Αριστοφάνους
και Πλάτωνος δραμάτων). Natali ateniesi per il personaggio documenta
inoltre Luciano, che, nell’omonimo opuscolo a lui dedicato, ne rivela pure il
patronimico e il demotico: Τίμων ό Έχεκρατίδου Κολλυτεύς (Tim. 7, 44, 40; con
ogni probabilità, entrambi i dati devono considerarsi delle invenzioni lucianee:
cfr. Bertram 1906, pp. 61-62; Tornassi 2011, pp. 91-93). Sebbene molti esegeti
moderni abbiano guardato e guardino tuttora a Timone come a una figura
realmente esistita (così, d’altra parte, lo si ritrova registrato nei principali
repertori prosopografici: cfr. LGPNU, s.v. [26], p. 433; PAA 890660), alla luce
del confronto fra le testimonianze comiche e quelle di Neante, di Plutarco e
di Luciano, sembra lecito vedere in Timone un personaggio leggendario, un
modello archetipico della vita solitaria, creato verosimilmente dalla commedia
(ovvero già esistente nel panorama folcloristico ateniese e portato per la prima
volta a dignità letteraria dai commediografi149) e più tardi ‘storicizzato’ da

148 Τίμων ήν τις άίδρυτος άβάτοισιν / έν σκώλοισι τά πρόσωπα περιειργμένος,
Έ- / ρινύων άπορρώξ. / ούτος ούν ό Τίμων / ωχεθ’ ύπό μίσους / —} / πολ-
λά καταρασάμενος άνδράσι πονηροΐς. / οϋτω 'κείνος ήμΐν άντεμίσει τούς πονη-
ρούς / άνδρας άεί, ταΐσι δέ γυναιξίν ήν φίλτατος.
149 D’altra parte, nei testi comici non è raro imbattersi in menzioni di personaggi al
confine tra storia e folktale che impersonano proverbialmente alcune delle qualità
negative dell’uomo: emblematici, in tal senso, sono i casi di Φρυνώνδας (per cui
cfr., e.g., Ar. Th. 861, con Austin/Olson 2004, p. 281) e di Εύρύβατος (per cui cfr.,
e.g., Ar. fr. 198).
 
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