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Phrynichos

e Rs, attraverso l’espressione brachilogica καί Φρύνιχος Σατύροις· βοάσο-
μαι — βοάν, attestano infine che, al pari di Aristofane, anche Frinico - evi-
dentemente il poeta comico e non, come pure è stato ipotizzato, l’omonimo
tragediografo* * * * * 300 - riprendeva nei Satyroi quegli stessi versi tragici.
Testo Si deve a Hermann (Opusc. I, p. 49 n. 5) l’idea di restituire al passo
la forma univerbata τάρα per la lectio codicum γ’ άρα = γ(ε) άρα (ERs).301
L’intervento, più che plausibile (la confusione fra γ’ άρα/άρα e τάρα è eve-
nienza piuttosto comune nei manoscritti: in merito cfr. Lowe 1973, passim),
ha ricevuto ampi consensi dalla critica, con la sola eccezione di Bothe (PCGF,
p. 217): βοάσομαί γ’ άρα τάν ύπέρτονον βοάν (lo studioso leggeva la citazione
come un unico trimetro).
Interpretazione Con buona probabilità, il verso era citato da Frinico per farne
oggetto di parodia: così ritengono, fra gli altri, Rock 18622, p. 169, 18944, p. 188
[ad Nu. 1154]; Teuffel 1867, p. 147, 18871 p. 163 [ad Nu. 1154]; Couch 1933,
p. 59; Schmid 1946, p. 141 n. 2; Edmonds (FACI, p. 465 n. d: «these lines [...]
are prob. cited by thè Scholiast as another instance of a parody of thè passage
of tragedy»); vd. anche Rau 1967, p. 148; Parker 1997, pp. 204-205; Willi 2010,
p. 506; Storey FOC III, p. 68 η. 1.
Dal punto di vista metrico-prosodico, la citazione consta di un primo trime-
tro del tipo ia lec (o ia cr id) piuttosto «caro ai tragici, specialmente in attacco di

Euripide. La data di composizione del Péleus di Sofocle, collocata dagli esegeti «ante
a. 424» (cfr. TrGF IV2, p. 392), in ragione della ripresa parodica di un verso della
tragedia (fr. 487.2) nel trimetro 1099 dei Cavalieri di Aristofane (Lenee 424 a. C.), è
stata utilizzata da taluni studiosi per fissare al 425/4 a. C. il terminus post quem per
la messa in scena dei Satyroi·. vd., supra, ad Data.
300 Al poeta tragico assegnavano i versi, per es., Sinner 1834, p. 139 [ad Nu. 1142];
Blaydes 1890, p. 511 [ad Nu. 1154]; Dover 1968a, p. 234 [ad Nu. 1154], il quale
suggeriva peraltro di intendere il dativo σατύροις come equivalente all’espressione
«in a satyr-play»; tale ipotesi di lettura - avanzata a suo tempo già da Blaydes
(1890, p. 511) - non è esclusa da Parker (1997, p. 205). Giova ricordare che, in un
primo momento, anche Bothe (1830, p. 129 [ad Nu. 1112 = 1154]; 1845a, p. 368 [ad
Nu. 1112 = 1154]) e Rogers (1852, p. 101 [ad Nu. 1139 = 1154]) propendevano per
l’attribuzione del frammento al tragediografo, salvo poi optare per l’assegnazione
dei versi al poeta comico (cfr. Bothe PCGF, p. 217; Rogers 1916, p. 146 [adNu. 1154]).
301 Merita di essere segnalato che, in un primo momento (cfr. Hermann 1801, p. 250
[= Opusc. I, p. 48]), lo studioso proponeva la diortosi τ’ άρα e che soltanto succes-
sivamente (cfr. Hermann Opusc. I, p. 49 n. 5), ritornando sul suo intervento, optò
per la forma univerbata τάρα. Metricamente insostenibile è il testo del frammento
offerto nell’Aldina: βοάσομαί γάρ άρα τάν ύπέρτονον βοάν.
 
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