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280

Phrynichos

vero se il poeta tragico si limitasse ad accordare fiducia a una rielaborazione
dell’episodio già costituita. In questo senso, non sono molto d’aiuto le testi-
monianze erudite, che si mostrano piuttosto generiche sull’argomento: cfr.,
per es., lo schol. [ANt] Lyc. 270a Leone: "Ομηρος μέν απλώς δώρά φησι τω
Αχιλλεΐ δοθήνοα ύπέρ {τοϋ}Έκτορος, ό δε Λυκόφρων [cfr. Lyc. 269-270] καί
άλλοι τινές ζυγοσταθμηθέντα αύτώ ’ίσον χρυσόν δοθήνοα του βάρους); vd.
inoltre Eust. in II. p. 1273.41-43 (ίστέον δε καί ότι τό χρυσώ σταθμηθέντα τον
"Εκτορα λυθήνοα παρά Πριάμου 'Ομήρω μέν ού δοκεΐ, οί δε ύστερον ίστορουσι
τούτο γενέσθαι λέγοντες ότι ό Αχιλλεύς χρυσόν τω "Εκτορι άντιστήσας καί
λαβών οϋτω τον νεκρόν άπέδοτο τω πατρί). Da questa versione del mito
sembra peraltro dipendere Virgilio, che, al v. 484 del primo libro dell’Eneide,
così scrive: exanimumque auro corpus vendebat Achilles (sull’esegesi del verso
virgiliano vd. Austin 1971, p. 163); cfr. inoltre Diph. fr. 32.7-8 (dall’Emporos),
in cui la persona loquens dà libero sfogo al suo risentimento per aver pagato un
“grongo” (γόγγρον), una specie ittica simile all’anguilla, a peso d’oro, “proprio
come (fece) Priamo per Ettore” (ώσπερ ό Πρίαμος τόν 'Έκτορα).
τιμιοπώλης II vocabolo non è altrimenti attestato in letteratura. Si tratta
di un composto nominale formato sull’aggettivo τίμιος (“di valore”, “prezio-
so”, “caro”, detto a proposito di oggetti e merci; da τιμή, “onore”, “stima” e,
con valore estimativo, “prezzo”) e del nomen agentis -πώλης (“venditore”;
dal verbo πωλέω, “vendere”): per l’etimologia del termine vd. Chantraine
DELG, s.v. τιμή, p. 1119. Dal sostantivo deriva il verbo τιμιοπωλεΐν, la cui
unica occorrenza nota si registra in Esichio (τ 907), che ne fa uso per glossare
Vhapax τιμηρύειν (“vendere a caro prezzo”); cfr. inoltre l’espressione πωλείν
τιμιώτερον in Lys. 22. 8.
γ(ε) La particella, con ogni probabilità, serve a focalizzare l’attenzione sul
nome di Achille che segue subito dopo: in merito cfr. Denniston GP, p. 114.
ουδέ εις II sintagma produce un sensibile iato che è però ampiamente
tollerato nel trimetro comico (vd. gli esempi citati supra, ad Testo): in merito
cfr. Moorhouse 1962, pp. 245-246; vd. inoltre Descroix 1931, p. 28.
 
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