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304

Phrynichos

codicum κούχ ύποταγείς in κού καταπληγείς ovvero, più preferibilmente, in
κού συσταλείς, rinviando, per l’occorrenza di quest’ultima forma verbale nella
letteratura attica di V-IV secolo, al confronto con Eur. IT 295, con Ar. Ec. 486
e con Plato Ly. 210e, Lg. 691e.
Interpretazione Attraverso l’uso della σύγκρισις (espediente retorico non
nuovo nella poesia di Frinico: vd., supra, ad fr. 23) la persona loquens del fram-
mento si prende gioco di Nicia, portando all’esasperazione il più noto dei suoi
difetti, a causa del quale il demagogo fu molto biasimato dai contemporanei:* * * * 332
la sua «hesitant reluctance to risk committing himself to a course of action»
(Sommerstein 1987, p. 238 [ad Av. 639]); pavidità - o, per meglio dire, “pru-
denza” (che, nel caso di Nicia, era sovente condizionata dalle sue credenze
superstiziose333) - che, nel processo di trasfigurazione comica, diviene vera e

Attici e appartiene all’uso linguistico tardo (esempi in Nauck 1874, p. 37 n. 11).
Il dato trova conferma anche a livello epigrafico: cfr. Ihreatte II, pp. 557-558. Lo
stesso vale per la forma ταγής (pertanto, la voce υποταγής congetturata da Korais
[1811, p. 412] non apporta alcun miglioramento al testo tràdito).
332 Cfr. il composto aristofaneo μελλονικιάν (“indugiare come Nicia”) in Av. 639 (il
verso è ripreso da Plut. Nic. 8. 3), con lo schoL [vett.-Tr.] 639η.α-β (per l’esegesi
del verso vd. Sommerstein 1987, p. 238; Dunbar 1995, p. 414; Totaro 2006, p. 186 n.
139); un’altra allusione al carattere pavido di Nicia sembrerebbe cogliersi in Ar. Eq.
358: (Αλ.) λαρυγγιώ τους ρήτορας καί Νικίαν ταράξω (“(Salsicciaio) strangolerò
gli oratori e metterò in agitazione Nicia”; il trimetro è citato anche da Plut. Nic.
4. 7, in cui, tuttavia, si dice che a parlare “minacciosamente”, απειλών, sia Cleone
e non il Salsicciaio: sul passo dei Cavalieri vd. Gii 1962, p. 442; Alfageme 2011,
pp. 158-160); e vd. Ih. VI. 25. 1: “e infine, presentatosi un Ateniese e rivoltosi a
Nicia, disse che non si dovevano tirar fuori pretesti (προφασίζεσθαι) né si doveva
indugiare (διαμέλλειν), ma di fronte a tutti dire subito quali preparativi gli Ateniesi
dovessero affidargli per decreto” (il contesto è quello dell’assemblea che precedette
la spedizione in Sicilia).
333 Cfr., per es., il discorso formulato da Nicia nel Lachete platonico in merito alla
differenza fra temerarietà e coraggio (197b-c): “credo che il non aver paura e l’essere
coraggiosi non siano la stessa cosa. E, inoltre, ritengo che in ben pochi risiedano
coraggio e prudenza (εγώ δέ άνδρείας μεν καί προμηθίας πάνυ τισίν όλίγοις οίμαι
μετεΐναι); e che, anzi, nella maggior parte di uomini, donne, bambini ed animali
risiedano tracotanza, audacia, intrepidezza accompagnata da sconsideratezza.
Ciò che tu e molti altri chiamate coraggioso, io lo definisco tracotante, mentre
coraggioso è ciò che è intelligente ed è appunto ciò di cui parlo”. Sull’eccessiva
“prudenza” di Nicia nell’affrontare azioni (politicamente e militarmente) rischiose
cfr., in particolare, Ih. V. 16. 1 (con A.W. Gomme, in: HCTUI, p. 663), VI. 25. 1. Sulla
superstizione di Nicia cfr. Th. VII. 50. 4 (~ Plut. Nic. 4. 1).
 
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