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Incertarum fabularum fragmenta (fr. 74)

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21; Dem. 18. 252, 25. 37) e d’uso comune in greco - ricorre in commedia, oltre
che in Frinico, anche in Ar. V. 49 (cfr. Av. 75); Alex. fr. 154.1; Philem. frr. 110.2,
121.2, 164; Men. Epitr. 912, frr. 389, 686.2; Baio Com. fr. 1.1; Posidipp. fr. 32.2.
ύδατοπότης L’aggettivo - formato sulla base dei sostantivi ϋδωρ (“ac-
qua”) e πότης (“bevitore”) - è un hapax in tutta la letteratura greca conservata.
Cfr. il verbo denominale ύδατοπωτέω in Cratin. fr. 319, con Kassel/Austin
PCGIV, p. 277; e vd. Lue. Icar. 7 (ΰδατοποτεΐν). La persona loquens ricorre qui
all’immagine del poeta/artista ‘bevitore d’acqua’ per alludere alle (pessime)
doti musicali di Lampro. Sul rapporto antinomico tra acqua e composizione
poetica vd., supra, ad fr. 68.
μινυρός Dell’aggettivo si registrano pochissime occorrenze in letteratu-
ra: oltre a Frinico, cfr. Aesch. Ag. 1165 (prima attestazione nota del termine);
Theoc. 13.12. Ben più documentati sono invece i verbi denominali μινυρίζω, il
cui uso è testimoniato in Omero (cfr., e.g., II. V.889; Od. IV.719) e in Aristofane
(cfr., e.g., V. 219, Av. 1414) e, per la prosa, nel corpus platonico (cfr., e.g., R.
41 la), e μινύρομαι, per cui cfr. Aesch. Ag. 16 (prima occorrenza nota del
vocabolo); Soph. OC 671; Ar. Ec. 880. Particolarmente ricca è la tradizione
scoliograhca e lessicografica relativa al verbo μινυρίζω, che viene interpretato
come sinonimo di “lamentarsi con una voce flebile e pietosa” (θρηνείν ολίγη
φωνή καί οίκτρά: cfr. Apollon. Lex., p. 113.3 Bk.; Hsch. μ 1411; EMp. 588.18-19:
μινυρίζειν· σημαίνει τό ήσυχη κλαίειν καί θρηνείν) ovvero di “cantare som-
messamente” (τό ήρεμα αδειν: cfr. schol. Plato R. Ili, 41 l.a Greene; Phot, μ
464 [= Suid. μ 1103]), di norma in riferimento alla φωνή (umana ovvero degli
uccelli). Nel presente contesto l’impiego dell’aggettivo μινυρός si spiega forse
con l’intento della persona loquens di alludere alle pessime qualità canore del
μουσικός Lampro.
ύπερσοφιστής “Ipersofista”, “arcisofista”. Il composto nominale - forma-
to dal preverbio, con valore superlativo, ύπέρ (“oltre”, “ultra-”, “iper-“) e dal
sostantivo σοφιστής - è noto in letteratura unicamente in questo passo; cfr.
inoltre l’aggettivo ύπέρσοφος attestato in Ar. Ach. 972 e in Plato Euthd. 289e.2
(nella satira contro i sofisti). Come è stato argomentato in tempi recenti da
Imperio (1998, pp. 46-51), il nome σοφιστής aveva in origine lo stesso valore
semantico dell’aggettivo σοφός, designando genericamente «il sapiente [...]
ovvero l’esperto, la persona dotata cioè di una particolare abilità e provvista di
competenze tecniche in una determinata arte» (p. 46); a partire dalla seconda
metà del quinto secolo e poi nel corso del secolo successivo, il termine assume
un’accezione dispregiativa, allorché ricorre a indicare in modo specifico la
figura dell’intellettuale che dispensa sapere dietro un compenso in denaro.
Nel frammento in questione l’epiteto ύπερσοφιστής è studiatamente riferito
dalla persona loquens al musico Lampro, di cui, come si è detto in precedenza
 
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