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Phrynichos
debole, dal momento che, come si chiarirà più avanti, le parole πέπονθα δεινά
costituiscono una formula attestata altrove in Sofocle e più che rinviare a
un contesto sofocleo preciso hanno con ogni probabilità la funzione di far
risaltare i toni paratragici del verso. Quanto alla teoria della messa in scena
deìYEdipo a Colono negli anni Trenta del quinto secolo, essa è ormai superata,
soprattutto in ragione della preziosa testimonianza delfanonimo compilatore
dell’Argomento II alla tragedia che ne fìssa con sicurezza la rappresentazione
al 401 a. C.: vd., supra, ad fr. 32. Proprio alla luce di quest’ultimo dato cro-
nologico e individuando nella locuzione πέπονθα δεινά impiegata nel v. 2
una chiara ripresa paratragica del v. 892 dell’Edipo a Colono, Gallavotti (1930,
pp. 210, 214-215 n. 2) giungeva alla conclusione che il dramma cui appartiene
il frammento andasse datato «al più presto nei primi anni del IV secolo»
e che il suo possibile autore fosse Filisco, commediografo di quarto secolo
(floruit 380-377 a. C.), al quale la Suda (<p 357 [= test. 1, in PCG VII, p. 356])
attribuisce una pièce intitolata Διός γονοά (di cui, però, è noto soltanto il titolo:
cfr. PCG VII, p. 357). Indipendentemente da Gallavotti, anche Kòrte (1930; cfr.
inoltre Kòrte 1932, pp. 55-56 [nr. 730]; Kòrte 1938, p. 2381.29-41) avanzò la
proposta che il contenuto del papiro andasse riferito alle Διός γοναί di Filisco,
sul fondamento del dato per cui la parodia mitologica, sebbene non estranea
alla commedia di quinto secolo, sia «ein Lieblingsstoff der μέση». Sulla base
delle argomentazioni di Gallavotti e di Kòrte, la maggior parte della critica si è
detta favorevole all’idea di assegnare il frammento a un poeta della mese (cfr.,
e.g., Platnauer 1933, pp. 165-166) e, nello specifico, a Filisco (cfr., e.g., Wust
1939, p. 7 [con riserva]; Page 1941, pp. 230-231 [vd. inoltre Page 1942, p. 231];
Cervelli 1951, p. 241; Edmonds FAC II, pp. 8-9; Austin 1973, pp. 200-201;
Nesselrath 1990, pp. 229-233 [vd. Nesselrath 1995, pp. 22-26, in cui non si
esclude un’attribuzione ad Antifane]; Olson 2007, p. 215 [ad Cl]). Improntata
alla prudenza è invece la scelta editoriale di Kassel/ Austin (PCG Vili, p. 355),
i quali si limitano a stampare il frammento fra gli adespoti comici, segnalando
in nota le proposte di attribuzione avanzate nel corso degli studi.
Quanto all’ipotesi - sostenuta da Coppola (1936, pp. 119-122) - per cui,
al v. 6, debba essere colto un obliquo riferimento al 'decreto contro Megara’
(432/1-423 a. C.), essa appare eccessivamente forzata a sostegno dell’idea di ri-
condurre i versi al Kronos di Frinico, partendo dal presupposto, in verità tutt’al-
tro che certo, che quella commedia sia stata «la prima [...] di Frinico, quella
del 429, e forse anche la sua prima vittoria alle Lenee» (sul dato cronologico
dell’esordio e della prima vittoria lenaica di Frinico vd., supra, ad Cronologia e
carriera): come lucidamente notava però Cervelli (1951, p. 235), nei quattordici
trimetri giambici di cui si compone il papiro non è possibile ricavare la benché
minima allusione al detto decreto; e, d’altra parte, la menzione della città di
Phrynichos
debole, dal momento che, come si chiarirà più avanti, le parole πέπονθα δεινά
costituiscono una formula attestata altrove in Sofocle e più che rinviare a
un contesto sofocleo preciso hanno con ogni probabilità la funzione di far
risaltare i toni paratragici del verso. Quanto alla teoria della messa in scena
deìYEdipo a Colono negli anni Trenta del quinto secolo, essa è ormai superata,
soprattutto in ragione della preziosa testimonianza delfanonimo compilatore
dell’Argomento II alla tragedia che ne fìssa con sicurezza la rappresentazione
al 401 a. C.: vd., supra, ad fr. 32. Proprio alla luce di quest’ultimo dato cro-
nologico e individuando nella locuzione πέπονθα δεινά impiegata nel v. 2
una chiara ripresa paratragica del v. 892 dell’Edipo a Colono, Gallavotti (1930,
pp. 210, 214-215 n. 2) giungeva alla conclusione che il dramma cui appartiene
il frammento andasse datato «al più presto nei primi anni del IV secolo»
e che il suo possibile autore fosse Filisco, commediografo di quarto secolo
(floruit 380-377 a. C.), al quale la Suda (<p 357 [= test. 1, in PCG VII, p. 356])
attribuisce una pièce intitolata Διός γονοά (di cui, però, è noto soltanto il titolo:
cfr. PCG VII, p. 357). Indipendentemente da Gallavotti, anche Kòrte (1930; cfr.
inoltre Kòrte 1932, pp. 55-56 [nr. 730]; Kòrte 1938, p. 2381.29-41) avanzò la
proposta che il contenuto del papiro andasse riferito alle Διός γοναί di Filisco,
sul fondamento del dato per cui la parodia mitologica, sebbene non estranea
alla commedia di quinto secolo, sia «ein Lieblingsstoff der μέση». Sulla base
delle argomentazioni di Gallavotti e di Kòrte, la maggior parte della critica si è
detta favorevole all’idea di assegnare il frammento a un poeta della mese (cfr.,
e.g., Platnauer 1933, pp. 165-166) e, nello specifico, a Filisco (cfr., e.g., Wust
1939, p. 7 [con riserva]; Page 1941, pp. 230-231 [vd. inoltre Page 1942, p. 231];
Cervelli 1951, p. 241; Edmonds FAC II, pp. 8-9; Austin 1973, pp. 200-201;
Nesselrath 1990, pp. 229-233 [vd. Nesselrath 1995, pp. 22-26, in cui non si
esclude un’attribuzione ad Antifane]; Olson 2007, p. 215 [ad Cl]). Improntata
alla prudenza è invece la scelta editoriale di Kassel/ Austin (PCG Vili, p. 355),
i quali si limitano a stampare il frammento fra gli adespoti comici, segnalando
in nota le proposte di attribuzione avanzate nel corso degli studi.
Quanto all’ipotesi - sostenuta da Coppola (1936, pp. 119-122) - per cui,
al v. 6, debba essere colto un obliquo riferimento al 'decreto contro Megara’
(432/1-423 a. C.), essa appare eccessivamente forzata a sostegno dell’idea di ri-
condurre i versi al Kronos di Frinico, partendo dal presupposto, in verità tutt’al-
tro che certo, che quella commedia sia stata «la prima [...] di Frinico, quella
del 429, e forse anche la sua prima vittoria alle Lenee» (sul dato cronologico
dell’esordio e della prima vittoria lenaica di Frinico vd., supra, ad Cronologia e
carriera): come lucidamente notava però Cervelli (1951, p. 235), nei quattordici
trimetri giambici di cui si compone il papiro non è possibile ricavare la benché
minima allusione al detto decreto; e, d’altra parte, la menzione della città di