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Phrynichos

piuttosto comune (in altre parole, un caso simile ai sopra citati Ar. Av. 1178,
1372). Prima del v. 4, il segno X può forse riferirsi all’uso metaforico della
locuzione έκπίνει kcù κατεσθίει (~ Ar. Av. 204); d’altra parte, una figura tropica
(una metafora) è contrassegnata con X anche in CGFP 62.26 (= Ar. fr. 592.26):
ώσπερ [σ]ελήνη γ’ ήλίω.
3 “πέπονθα δεινά” L’occorrenza dell’espressione in Soph. OC 892
(dell·Edipo a Colono, cfr. anche il v. 595; il dramma fu rappresentato postumo
nel 401 a. C.: vd., supra, ad fr. 32) aveva suggerito a non pochi esegeti l’attri-
buzione del frammento al Kronos di Frinico (vd., supra, ad Prologo del Kronos
di Frinico?). Tuttavia, si tratta di un’espressione tragica molto comune che
più che rinviare a un contesto sofocleo preciso serve a far risaltare i toni
paratragici del passo. L’associazione tra δεινά (o sinonimi) e il verbo πάσχω
è infatti ben testimoniata nella poesia tragica - oltre agli esempi sofoclei,
cfr. Eur. Ale. 816 (πέπονθα δειν(ά)), Or. 1616 (πέπονθα δεινά; cfr. West 1987,
p. 289: «a standard phrase of formai protest»), Ba. 642 (πέπονθα δεινά), ΙΑ 847
(πέπονθα δεινά) - e in contesti comici paratragici: cfr., e.g., Ar. Av. 1171, PI.
967; Men. fr. *904. Ricorre anche in prosa: cfr. Dem. 51. 19.
γέρων Κρ[όνος Nella narrazione esiodea del mito Crono è sempre in-
dicato con l’epiteto μέγας (cfr. Ih. 459, 467: vd. infra). Nel presente contesto
l’immagine del dio riflette quella canonica in commedia, in cui tale divinità
assurge spesso e volentieri a simbolo di vecchiaia: in merito vd., supra, ad n. 84.
4 έκπίνει τε καί κατεσθίει La coppia di verbi, se da un lato “strizza”
l’occhio al racconto tradizionale (cfr. v. 14), dall’altro è funzionale a intro-
durre una nuova immagine di Crono, che si pone in netto, comico contrasto
con quella arcaica di divinità violenta, crudele, mangia-figli. Nel processo di
1 umanizzazione’ cui viene sottoposta la sua figura, Crono - come risulta chiaro
anche dal contenuto dei vv. 6-7 - diviene «a prolifigate glutton and drunkard,
surrendered to thè pleasures of his stomach and not hesitating to sell off his
own offspring, so as to finance his carousals» (Konstantakos 2012, p. 143; così
già Nesselrath 1995, p. 25 [vd., supra, ad Interpretazione); Olson 2007, p. 127
[ad C1.4]). Sulla possibilità che i verbi siano qui impiegati con doublé entendre
vd. infra, adv. 8 (έσθίει).
5 έμοί ... προσδίδωσιν ουδέ εν L’espressione è, forse, volutamente
ambigua, dal momento che Rea si lamenterebbe, come madre, della sottrazio-
ne dei propri figli, ma, alla luce dei vv. 6-7, non è da escludere che, con tali
parole, la dea intenda rivendicare anche una percentuale sulla vendita degli
stessi: indicativo di questa lettura sarebbe il verbo προσδίδωμι, che, come
notava per primo Page (1941, pp. 230-231 n. a; cfr. Page 1942, pp. 230-231 n.
a), sembra valere “dare una ricompensa”, “rendere parte” («Possibly “gives me
not a farthing’s compensation for them” or “gives me no share in these (foods
 
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