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Phrynichos

porta sulla scena il personaggio di un Megarese che, per fronteggiare il divie-
to imposto da Pericle (vd., supra, ad Prologo del Kronos di Frinico?), ricorre
all’espediente (burlesco) di vendere al mercato di Atene le proprie figlie come
fossero dei maialini.
Μεγαράδ(ε) L’antica città di Megara era ubicata a nord-est dell’istmo
di Corinto, a circa 42 km a ovest di Atene. Molteplici sono stati i tentativi da
parte degli esegeti di giustificare la menzione di questa città nel frammento:
l’opinione prevalente è che la decisione di Crono di vendere i propri figli a
Megara sia stata dettata dal fatto che si tratti di una località 'altra’ (diversa cioè
da Atene, il luogo in cui sembra che l’azione scenica abbia luogo: vd. supra),
in cui prospera era l’attività commerciale (e probabilmente anche il traffico di
schiavi): cfr. Cervelli 1951, p. 238; e vd. Olson 2007, p. 125 [ad C1.6]. Per quello
che è noto, la forma locativa Μεγαράδε ricorre, in poesia, soltanto in questo
passo e in Ar. Ach. 524.
7 ò τι αν τέκω ’γώ Un’altra eco della versione tradizionale del mito, che
si pone in stridente contrasto con il successivo τούτο πωλών έσθίει, che, nel
processo di stravolgimento parodico del racconto esiodeo, sostituisce l’atto di
cruda violenza perpetrato da Crono nei confronti dei suoi figli.
έσθίει II verbo è qui usato in senso metaforico e va considerato insieme
con la coppia έκπίνει - κατεσθίει del v. 4: contrariamente al mito e a
quanto detto appunto nel v. 4, Crono non divora (έκπίνει τε καί κατεσθίει)
definitivamente i suoi figli, ma, dopo averli condotti a Megara, li vende come
schiavi; inoltre, come ben si evince dal v. 7, il dio “si divora” (έσθίει), cioè
“sperpera” tutti i soldi della vendita e non dà nulla a Rea (vd., supra, ad v. 5).
Per l’uso del verbo έκπίνω nell’accezione metaforica di “bere” = “scialacquare”
(il patrimonio, del denaro, etc.: cfr. LSJ, s. v. [3], p. 516) cfr., e.g. Ar. Lys. 113-114
(con Henderson 1987, p. 81); vd. inoltre Eur. Hipp. 626 (όλβον); Plato Com.
fr. 9 (χρήματα). Per κατεσθίω come sinonimo di “divorare” = “sperperare”,
“dilapidare” (cfr. LSJ, s. v. [2], p. 925: «eat up, devour one’s substance») cfr., e.g.,
Ar. Eq. 258, Anaxipp. fr. *1.32 (vd. inoltre Antiph. fr. 236.1: ούδείς τα πατρώα
[...] γέρων κατεδήδοκεν); Dem. 38. 27; per la medesima valenza idiomatica
del verbo base cfr. Hsch. ε 6205, in cui αναλίσκω (“spendere”, “consumare”) è
indicato come sinonimo di έσθίω.
8 δέδοικε ... τον χρησμόν Una nuova eco del racconto tradizionale
collocata subito dopo il resoconto della situazione ‘umanizzata’ descritta nei
vv. 6-7.
9 έχρησε Ha qui inizio un gioco verbale che risulterà più esplicito nei
vv. 11-14 e che è tutto impostato sulla valenza polisemica di χράω: dopo il v.
8 (δέδοικε γάρ τον χρησμόν), le parole έχρησε γάρ Κρόνω ποθ’ Απόλλων al
ν. 9, intese in modo assoluto, varrebbero “un tempo, infatti, Apollo vaticinò a
 
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