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Phrynichos
a suo tempo Blaydes (Adv. II, p. 52; merita senz’altro di essere segnalato che
un originario το πτιστικόν era ricostruito già da Casaubon [1600, p. 563.51;
1621, p. 893.26]: in questo caso, però, l’intervento era strettamente funzionale a
restituire alla citazione - che Casaubon leggeva secondo la vulgata di Manuzio,
essendogli infatti sconosciuto il codice S - una completezza metrica).
Interpretazione In occasione dei simposi, era consuetudine presso i Greci
intonare motivetti e stornelli di vario genere tra una bevuta e l’altra; spesso
questi canti erano eseguiti con un accompagnamento auletico: per restare
nell’ambito della commedia cfr., e.g., Pherecr. fr. 138.5; Ar. V. 1219-1222 (dalla
scena del ‘fìnto’ simposio cui prendono parte Filocleone e Bdelicleone; vd.
inoltre i vv. 1230^-1231: έγώ δέ γε / έάν άπειλή, νή Δί’ έτέρσ.ν ασομοα [“ed
io, / se lui mi minaccia, risponderò - quant’è vero Zeus - intonando un’altra
canzone”], che richiamano alla mente, sul piano sintattico e linguistico, il
verso di Frinico), fr. 444; Eup. fr. 395; Amips. fr. 21 (con Totaro 1998, p. 182);
Gratin, fr. 254; Plato Com. fr. 71.10-14: che anche il trimetro di Frinico sia stato
estrapolato da una vivace scena conviviale, come suggerito già da Bergk (1838,
p. 367) e da Bode (1840, p. 217)? Se si potesse essere certi di ciò, acquisirebbe
sicuramente maggior peso l’ipotesi di una commedia d’argomento dionisiaco-
simposiale: vd., supra, ad Contenuto.
Un possibile contesto ‘rurale’ per il frammento ricostruiva invece G. Kaibel
(op. PCG VII, p. 401), secondo cui la citazione farebbe parte di un dialogo
fra «duae mulieres πτίσσουσαι», una delle quali «canere incipit succinente
tibicine».
έγώ δέ νων Per un’analoga costruzione sintattica (con poliptoto: έγώ/
νων) in commedia cfr. Ar. fr. 211.1 (vd., supra, ad Testo).
δή L’uso della particella δή è con ogni probabilità funzionale all’intento
della persona loquens di conferire maggiore enfasi al pronome personale νων:
su questo valore di δή cfr. Denniston GP, pp. 204, 207-208.
τερετιώ Forma del futuro attico di τερετίζω. I moderni riconoscono al
verbo un’origine onomatopeica (cfr. Frisk GEWH, s. v., pp. 878-879; Chantraine
DELG, s.v., p. 1106; Beekes EDG, s.v., p. 1468; sull’etimologia del verbo vd.
inoltre Tichy 1983, p. 199 [ad § 6.3.1]). Nato come riproduzione mimetica
di un suono animale (per la precisione, il “frinire” della cicala e il “garri-
re” della rondine), solo in un secondo momento τερετίζω estese il proprio
significato - attraverso un’evoluzione per gradi semantici, non sempre ben
individuabili: cfr. Durante 1981, pp. 26-30; Restani 1983, pp. 186-190; Rocconi
2003, pp. 81-97 - anche alla sfera musicale, dove passò a indicare un’articolata
performance vocale e/o strumentale, contraddistinta da una certa vaghez-
za a livello di percezione uditiva (cfr. l’esegesi del verbo offerta da Σ τ 104
Phrynichos
a suo tempo Blaydes (Adv. II, p. 52; merita senz’altro di essere segnalato che
un originario το πτιστικόν era ricostruito già da Casaubon [1600, p. 563.51;
1621, p. 893.26]: in questo caso, però, l’intervento era strettamente funzionale a
restituire alla citazione - che Casaubon leggeva secondo la vulgata di Manuzio,
essendogli infatti sconosciuto il codice S - una completezza metrica).
Interpretazione In occasione dei simposi, era consuetudine presso i Greci
intonare motivetti e stornelli di vario genere tra una bevuta e l’altra; spesso
questi canti erano eseguiti con un accompagnamento auletico: per restare
nell’ambito della commedia cfr., e.g., Pherecr. fr. 138.5; Ar. V. 1219-1222 (dalla
scena del ‘fìnto’ simposio cui prendono parte Filocleone e Bdelicleone; vd.
inoltre i vv. 1230^-1231: έγώ δέ γε / έάν άπειλή, νή Δί’ έτέρσ.ν ασομοα [“ed
io, / se lui mi minaccia, risponderò - quant’è vero Zeus - intonando un’altra
canzone”], che richiamano alla mente, sul piano sintattico e linguistico, il
verso di Frinico), fr. 444; Eup. fr. 395; Amips. fr. 21 (con Totaro 1998, p. 182);
Gratin, fr. 254; Plato Com. fr. 71.10-14: che anche il trimetro di Frinico sia stato
estrapolato da una vivace scena conviviale, come suggerito già da Bergk (1838,
p. 367) e da Bode (1840, p. 217)? Se si potesse essere certi di ciò, acquisirebbe
sicuramente maggior peso l’ipotesi di una commedia d’argomento dionisiaco-
simposiale: vd., supra, ad Contenuto.
Un possibile contesto ‘rurale’ per il frammento ricostruiva invece G. Kaibel
(op. PCG VII, p. 401), secondo cui la citazione farebbe parte di un dialogo
fra «duae mulieres πτίσσουσαι», una delle quali «canere incipit succinente
tibicine».
έγώ δέ νων Per un’analoga costruzione sintattica (con poliptoto: έγώ/
νων) in commedia cfr. Ar. fr. 211.1 (vd., supra, ad Testo).
δή L’uso della particella δή è con ogni probabilità funzionale all’intento
della persona loquens di conferire maggiore enfasi al pronome personale νων:
su questo valore di δή cfr. Denniston GP, pp. 204, 207-208.
τερετιώ Forma del futuro attico di τερετίζω. I moderni riconoscono al
verbo un’origine onomatopeica (cfr. Frisk GEWH, s. v., pp. 878-879; Chantraine
DELG, s.v., p. 1106; Beekes EDG, s.v., p. 1468; sull’etimologia del verbo vd.
inoltre Tichy 1983, p. 199 [ad § 6.3.1]). Nato come riproduzione mimetica
di un suono animale (per la precisione, il “frinire” della cicala e il “garri-
re” della rondine), solo in un secondo momento τερετίζω estese il proprio
significato - attraverso un’evoluzione per gradi semantici, non sempre ben
individuabili: cfr. Durante 1981, pp. 26-30; Restani 1983, pp. 186-190; Rocconi
2003, pp. 81-97 - anche alla sfera musicale, dove passò a indicare un’articolata
performance vocale e/o strumentale, contraddistinta da una certa vaghez-
za a livello di percezione uditiva (cfr. l’esegesi del verbo offerta da Σ τ 104