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Phrynichos

testo critico di Ateneo da lui stabilito, non ottenne invece il consenso di Erfurdt
(1812, p. 467), il quale - sul fondamento dei precetti metricologici di Hermann
(1796, p. 181), che, a proposito del tetrametro giambico acataletto, scriveva:
«Tragici [...] Graeci et Aristophanes numquam eo versu usi sunt»114 - scelse di
non allontanarsi troppo dalla paradosis, integrando al v. 2 la sola particella άν,
in modo da ottenere due tetrametri trocaici catalettici (είτα κεραμεύων έν ο’ίκω
σωφρόνως Χαιρέστρατος / εκατόν (αν) τής ήμέρας έκλαιεν οίνου κανθάρους)
e restituire al frammento uno schema metrico (adottato poi da tutti i successivi
editori) ben più usuale nella poesia comica (giova segnalare che al medesimo
schema metrico perveniva anche Porson [Adv., p. 127 ; Adv., p. Ili] attraverso
l’aggiunta della preposizione <έκ> dopo εκατόν).
Sul piano critico-testuale, va registrata, al v. 1, la lettura άν οίκοι restituita
da Dobree (Adv. II, p. 332) e - indipendentemente - da Letronne (1833b, p. 36
n. 2) in luogo deU’insignifìcante lettura αν ο’ίκω (sic) trasmessa dal Marciano
(prima della recensio del codice A, per cura di Schweighàuser, tutti i principali
editori del testo di Ateneo leggevano εάν ο’ίκω con Musuro [1514a, p. 191.43]).
Non hanno incontrato molta fortuna presso la comunità scientifica le emenda-
zioni έν ο’ίκω di Fiorillo (1803, p. 5) e di G.F. Grotefend (ap. Schweighàuser in
Athen. VI, p. 122) e άν’ οίκον di Bothe (PCGF, p. 212). Non è invece necessaria
la forma genitivale Σώφρονος (intesa come patronimico di Χαιρέστρατος)
ricostruita da Bergk (1838, p. 366) per il tràdito σωφρόνως: l’intervento, pur
plausibile metricamente, mal si concilia con i dati prosopografìci in nostro
possesso, da cui si evince che il nome Σώφρων non è mai attestato in Attica
come antroponimo prima del II secolo a. C. (vd. le occorrenze registrate in
LGPN11, s.vv., p. 423; PAA, s.vv., pp. 229-231).
Maggiori problemi presenta il v. 2, in cui fa difficoltà il verbo principale
έκλαιεν. Ineccepibile sul piano metrico, il verbo risulta insoddisfacente per il
senso: «quo [...] modo κλαίειν κανθάρους graece dici poterit?», si domandava
Bergk (1838, p. 366),115 il quale, sulla scorta del participio κεραμεύων (v. 1),

114 In effetti, si tratta di un metro piuttosto inusitato nella poesia drammatica: in merito
vd. Perusino 1968, pp. 19-20; Martinelli 1995, pp. 152-153; Gentili/Lomiento 2003,
p. 262 con n. 70.
115 Gli fa eco Bourriot (1995a, p. 402): «Que signifìerait “pleurer cent canthares de
vin”?». Va rilevato che dubbi in merito alla lettura έκλαιεν esprimeva già Casaubon
(1600, p. 501.8-9; 1621, p. 794.26-28): «εκατόν τής ήμέρας έκλαιεν οίνου καν-
θάρους non intelligo». Un originario έκλαεν (forma attica della 3a persona
singolare dell’imperfetto di κλαίω/κλάω) ricostruiva Dindorf (1827, II, p. 1061):
si tratta di un intervento minimale, che, quanto al senso, non apporta migliorie
alla paradosis, ma serve a conferire alla citazione una lettura ‘attica’ (va segnalato
che il tentativo di diortosi suggerito da Dindorf fu sorprendentemente travisato
 
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