Τραγωδοί ή Απελεύθεροι (fr. 58)
289
I sopra citati νν. 1122, 1180-1181 delle Rane fanno parte di quella sezione
del dramma di Aristofane cui KJ. Dover ha dedicato particolare attenzione nel
corso dei suoi studi, con un saggio pubblicato nel 1992 (= Dover 1992), poi con-
fluito nella prefazione al suo commento alle Rane (= Dover 1993, pp. 29-30):
secondo l’opinione di Dover, la presenza di tecnicismi verbali e di espressioni
definitorie nella scena dell’agone fra Eschilo ed Euripide (w. 1119-1248) lasce-
rebbe intravedere evidenti riverberi della polemica contro quel processo - già
stigmatizzato dal poeta in Nu. 658-693 - di ‘razionalizzazione’ grammaticale
del linguaggio, che, nell’Atene di fine quinto secolo, costituiva il principale
campo d’interesse di una ristretta cerchia di intellettuali, fra cui spiccava il
sofista Prodico di Ceo, teorico dell’òpOoéneia (cfr. Plato Phdr. 267b). In ogni
cultura, sia antica che moderna, la scelta di cimentarsi nelle definizioni - os-
serva Dover (1992, p. 9) - «is a rare and highly sophisticated activity»; e il fatto
che, nel corso dell’agone che lo vede contrapposto a Eschilo, Euripide, nell’in-
tento di mostrare a Dioniso e al suo rivale la propria superiorità intellettuale,
si esibisca sovente in complesse disquisizioni lessicali volte a definire questo
ovvero quel termine320 deve verosimilmente intendersi in chiave satirica, in
perfetta linea cioè con l’idea di Aristofane di screditare il tragediografo attra-
verso l’immagine squalificante del poeta-σοφιστής, spocchioso e saccente.
Alla luce di quanto si è appena detto, viene pertanto da chiedersi se, dietro la
scelta di Frinico di ricorrere nel suo dramma all’espressione τη διαθέσει των
επών, non possano essere sottintesi analoghi intenti caricaturali. D’altra parte,
il sostantivo διάθεσις vanta non poche occorrenze nel corpus platonico (cfr.,
e.g., Plato Lg. 624a, 632a, 791b, 792d, 922b, Phlb. 62b, Ti. 27a, R. 489a, 579e),
in cui è spesso “messo in bocca” a Socrate (cfr., e.g., Plato Phlb. lld, 32e, 48a,
64c; e vd. Phdr. 236a, in cui è il vocabolo impiegato dal filosofo per definire il
concetto di “disposizione” in rapporto alle argomentazioni del discorso, affian-
candosi alla εϋρεσις, all’“invenzione”, cioè il “reperimento” degli argomenti:
cfr. inoltre Sph. 264d): sarebbe dunque suggestivo pensare che il frammento
di Frinico possa essere in qualche modo indicativo delle intenzioni del poeta
di connotare un qualche personaggio in chiave marcatamente ‘sofistica’, come
l’Euripide delle Rane aristofanee.
320 In tal senso, emblematico è l’esempio offerto dai vv. 1167-1168 delle Rane, in cui
Euripide traccia un’arzigogolata distinzione tra i verbi ήκω e κατέρχομαι che man-
da in confusione Dioniso.
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I sopra citati νν. 1122, 1180-1181 delle Rane fanno parte di quella sezione
del dramma di Aristofane cui KJ. Dover ha dedicato particolare attenzione nel
corso dei suoi studi, con un saggio pubblicato nel 1992 (= Dover 1992), poi con-
fluito nella prefazione al suo commento alle Rane (= Dover 1993, pp. 29-30):
secondo l’opinione di Dover, la presenza di tecnicismi verbali e di espressioni
definitorie nella scena dell’agone fra Eschilo ed Euripide (w. 1119-1248) lasce-
rebbe intravedere evidenti riverberi della polemica contro quel processo - già
stigmatizzato dal poeta in Nu. 658-693 - di ‘razionalizzazione’ grammaticale
del linguaggio, che, nell’Atene di fine quinto secolo, costituiva il principale
campo d’interesse di una ristretta cerchia di intellettuali, fra cui spiccava il
sofista Prodico di Ceo, teorico dell’òpOoéneia (cfr. Plato Phdr. 267b). In ogni
cultura, sia antica che moderna, la scelta di cimentarsi nelle definizioni - os-
serva Dover (1992, p. 9) - «is a rare and highly sophisticated activity»; e il fatto
che, nel corso dell’agone che lo vede contrapposto a Eschilo, Euripide, nell’in-
tento di mostrare a Dioniso e al suo rivale la propria superiorità intellettuale,
si esibisca sovente in complesse disquisizioni lessicali volte a definire questo
ovvero quel termine320 deve verosimilmente intendersi in chiave satirica, in
perfetta linea cioè con l’idea di Aristofane di screditare il tragediografo attra-
verso l’immagine squalificante del poeta-σοφιστής, spocchioso e saccente.
Alla luce di quanto si è appena detto, viene pertanto da chiedersi se, dietro la
scelta di Frinico di ricorrere nel suo dramma all’espressione τη διαθέσει των
επών, non possano essere sottintesi analoghi intenti caricaturali. D’altra parte,
il sostantivo διάθεσις vanta non poche occorrenze nel corpus platonico (cfr.,
e.g., Plato Lg. 624a, 632a, 791b, 792d, 922b, Phlb. 62b, Ti. 27a, R. 489a, 579e),
in cui è spesso “messo in bocca” a Socrate (cfr., e.g., Plato Phlb. lld, 32e, 48a,
64c; e vd. Phdr. 236a, in cui è il vocabolo impiegato dal filosofo per definire il
concetto di “disposizione” in rapporto alle argomentazioni del discorso, affian-
candosi alla εϋρεσις, all’“invenzione”, cioè il “reperimento” degli argomenti:
cfr. inoltre Sph. 264d): sarebbe dunque suggestivo pensare che il frammento
di Frinico possa essere in qualche modo indicativo delle intenzioni del poeta
di connotare un qualche personaggio in chiave marcatamente ‘sofistica’, come
l’Euripide delle Rane aristofanee.
320 In tal senso, emblematico è l’esempio offerto dai vv. 1167-1168 delle Rane, in cui
Euripide traccia un’arzigogolata distinzione tra i verbi ήκω e κατέρχομαι che man-
da in confusione Dioniso.